1.
Caratteri fisici e psicologici degli abitanti
I Ciminnesi sono generalmente di statura regolare
e di colorito bruno con capelli ed occhi castani. Le donne somigliano
agli uomini per questi caratteri, e non sono rare fra esse quelle
notevoli per bellezza;1
sono anche fìsicamente ben conformate, onde son pochi gl'interventi
ostetrici pervizi pelvici. Ma da qualche tempo la costituzione
degli abitanti sembra un poco deteriorata, come mostrano i risultati
delle visite fatte nei consigli di leva. Infatti per ricerche
da me eseguite risulta che nel primo quinquennio 1861-1865 il
maggior numero dei riformati fu per deficienza distatura, invece
nell'ultimo quinquennio fu per debolezza costituzionale.
Le malattie dominanti sono le febbri malariche
ed infettive, le malattie di petto e quelle intestinali, e fino
a poco tempo addietro anche il gozzo, che ora è divenuto raro.
La mortalità media, ricavata dal 1811 al 1911 fu di189, 92 morti
all'anno.2 Sono di carattere
espansivo e di mente svegliata ed aperta alle varie manifestazioni
del bello e del buono. Perciò hanno spiccate tendenze alla musica,
al canto, al ballo e a tutte le arti belle, ed amano le rappresentazioni
teatrali, la compagnia e i divertimenti d'ogni genere. Gli uomini
sono sobri e attivi, e le donne accudiscono alle faccende domestiche,
ma nel tempo dei maggiori lavori campestri aiutano l'opera dell'uomo
Il sentimento religioso è molto profondo nel popolo,e alcune volte
si rivela con manifestazioni eccessive. Le feste religiose sono
molte di numero e se ne contano, per così dire, di primo, secondo
e terzo ordine, che si fanno quasi tutte con elemosine ed offerte
popolari
1.
L'illustre Professore Giuseppe Pitrè nei suoi Canti popolari
siciliani,voi. I, p. 393, riporta i seguenti versi, da lui
raccolti a Montemaggiore: « ACaccamu ci sunnu li Nucasii
/ Ciminna li Vituzzi graziusi / Termini Austinèca su vastasi».
Ma in Ciminna i suddetti versi sono detti in questo modo:«
A Caccamu ci sunnu li Nucasi / A Termini l'Austinè ca su vastasi
/ Ciminna li Vitiddi graziusi / A Palermu li fimmini a tutt'usi
».
2.
La mortalità degli anni precedenti al 1821 fu ricavata dall'archivio
parrocchiale, dal quale
furono prese anche quelle citate nella prima partedi questo libro.
Chi desidera maggiori notizie sulle condizioni igieniche delpaese
può consultare un opuscolo da me pubblicato in Palermo nel 1901col
seguente titolo: « Relazione sanitaria (1900), sullo stato
igienico-sanitariodi Ciminna, al sig. Medico provinciale di Palermo.
2.Leggende
A poca distanza da Ciminna, nella direzione
di sud-est, esiste un monte alto m. 600 sul livello del mare e
chiamato, in pronunzia locale, Matritunnu. Nella parte
che guarda verso nord si trova un foro grande da potervi entrare
un uomo carpone, e di là si accede in un vano grandissimo dove
credesi dal popolo esservi una gran quantità di monete d'oro incantate,
e chi per caso si trovasse ivi e ne prendesse qualcuna, non troverebbe
più l'uscita. Inoltrandosi nel detto vano si arriva ad una porta,
a guardia della quale sitrova un gigante grandissimo, con una
specie di mazza nelle mani in atto di percuotere. Esso è condannato
a stare in quel luogo per castigo di una maga. Chi, trovandosi
dentro quel luogo avesse l'imprudenza di parlare di cose sante,
si troverebbe immediatamente in altri monti lontani. Si racconta
anche che alcuni individui videro le monete d'oro, e uno di essi,
avendone nascosta una dentro uno stivale, non potè uscire se non
quando l'ebbe lasciata. Al confine del paese esiste un piano chiamato
dell'Apurchiarola, perché produce spontaneamente molti aprocchi
(Centaurea calcitarapa, L.), e in quel piano, fino a pochianni
addietro, esisteva una grossa pietra, che nascondeva un tesoro
incantato. Il modo di disincantarlo era assai curioso. Un uomo
e una donna ignudi, a mezzo giorno preciso, dovevano partire dalla
piazza maggiore, percorrendo via S. Francesco e via Botteghelle.
La gita doveva essere fatta di corsa, portando ognuno un piatto
di maccheroni e mangiandoli durante la corsa; l'ultimo maccherone
doveva essere mangiato sul posto e precisamente sulla pietra,
che copriva il tesoro.3
Mancando una sola di queste condizioni, l'incantesimo restava.
Questa leggenda e quella precedente sono riportate nel seguente
libro: «Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano
raccolti e descritti da Giuseppe Pitrè voi. IV pag. 392e 393.
Palermo 1889 ». A brevissima distanza da Ciminna esiste
un colle chiamato S. Vito, perché vi esiste un santuario del detto
santo con un eremitaggio. Ivi anticamente visse un eremita chiamato
Fra Corrado. In quel tempo il detto colle era un bosco, frequentato
da' ladri. Un giorno questi si presentarono a Fra Corrado chiedendogli
una donna. Ritornati per trovarla, egli l'invitò a pranzare e
dato loro del vino con oppio li fece addormentare. Poi li uccise
e seppellì i cadaveri in una sepoltura della chiesa, e in questo
modo evitò lo scandalo della donna e liberò il paese dai ladri.
La mattina seguente trovò sette cavalli legati ad alberi di querce,
li sciolse e prese il denaro ch'era nelle bisacce. Poi volendo
fare con esso un'opera buona nel paese fondò l'ospedale, e credendo
per la sua vecchiaia che fosse vicino a morire trattenne per sé
poco denaro. Ma egli sopravvisse ancora molto tempo e fu costretto
andare elemosinando: «Facifi la limosina a Fra Currau
ca lu tempo la gabbau. Nun faciti comu Fra Currau ca lutempu lu
gabbau; la gaddina si pila morta e no viva ». Questa
è la moralità della leggenda, che si ripete ogni volta, che un
ndividuo si spoglia delle sue proprietà per donarle ad altri.
Altre leggende parlano di fiere incantate, che si ripetono ogni
sette anni, a mezzanotte precisa, in diverse contrade di questo
territorio, come per esempio a S. Anania, Ruggeri,Chiarchiaro
del Cammello ed altre. Ma la più popolare di tutte è quella di
S. Pantaleo, e propriamente del sito chiamato Manu di l'orvi.
Ivi vuole la leggenda, anche ai giorni nostri, che in ogni
sette anni abbia luogo una fiera misteriosa,di cui tanto si teme.
È la fiera delle fate, che comincia a mezzanotte precisa e dura
un'ora sola. In brevi istanti s'alzano trabacche e padiglioni,
in cui si espongono all'incanto animali, oggetti di valore e di
giucco e frutta da mangiare.Comprando un oggetto e toccandolo
diventa subito oro, perché viene disincantato. La fantasia popolare
è arrivata a credere che alcune persone si siano trovate alla
detta fiera e non abbiano potuto comprare alcuna cosa, perché
sfornite di danaro. Si racconta di un villano che una volta, essendosi
trovato alla detta fiera, intese una voce che gli disse: «Va
nel burrone e là troverai la tua fortuna». Quella voce si
ripetè altre due volte, e allora quello vi andò e trovò due sacchi
pieni di monete d'oro e due diavoli colle mazze a guardia di essi.
Per disincantare quel denaro egli doveva toccarlo, ma ebbe paura
e, mentre fuggiva spaventato, vide i sacchi trasformarsi in fiamme
e sperdersi nell'aria, girando intorno a sé stessi. Ora debbo
narrare altre leggende, che furono da me accennate a pag. 17,
quando parlai della cosidetta Lavanca di Sutera. Una volta
il Signore passando per quella contrada vestito da povero, chiese
ricovero e cibo ad alcuni caprai, che pascolavano ivi il loro
gregge. Ma questi rifiutarono e lo mandarono via senza dargli
alcun aiuto. Allora il Signore, per punire la loro azione, diede
una pedata a quel monte, facendolo cadere in parte con tutti i
sudetti caprai. Un'altra leggenda, che è simile alla sopradetta
e può considerarsi come una variante, è la seguente. Una volta
il Signore camminava con S. Pietro e si trovò a passare nella
contrada Cannatello. Ivi era un povero uomo, che faceva gesso
e menava la vita miseramente. S. Pietro gli domandò da mangiare
e l'ebbe; allora ammirando quella buona azione, pregò il Signore
di cambiare la sorte di quell'uomo che divenne ricco. Dopo molto
tempo il Signore ritornò in quel luogo con S. Pietro, e questi
chiese alloggio e vitto a quell'uomo che più non conosceva. Ma
questo gli avventò addosso i cani e lo mandò via. Allora S. Pietro,
avendo riconosciuto quell'uomo ed essendosi indegnato per la sua
ingratitudine, pregò nuovamente il Signore, affinchè lo punisse.
Anche questa volta il Divino Maestro ascoltò la preghiera di S.
Pietro e perciò fece cadere parte della montagna, seppellendo
quell'uomo con tutte le sue ricchezze.
Queste ed altre leggende meno popolari di tesori nascosti ed incantati
in altri luoghi di questo territorio, sono state create dalla
fervida fantasia del popolo Ciminnese, ma io milimito a quelle
riferite e tralascio le altre per brevità.
3.
La detta pietra esisteva fino a poco tempo addietro, quando fu
rotta per farne breccia da stradale.
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Oltre alle dette leggende il popolino presta
fede ad alcuni pregiudizi, che vanno diminuendo a misura che s
iestende l'istruzione elementare. Accenno quelli principali, per
far meglio conoscere l'indole di questi abitanti.
La maggior parte di essi riguarda le cure mediche,
i parti ecc. Chi ha malattie di pelle non deve fare altro che
aspettare la mattina dell'Ascensione. In quel giorno le erbe acquistano
virtù speciali, e chi ignudo s'avvoltola su di esse guarisce subito
delle dette malattie. Vi sono quelli che tolgono la punta (pleurite),
acconciano le ossa rotte o slogate, guariscono le insolazioni,
i vermi e il cosidetto gruppo dilatte ai bambini, e tante
altre cose, che tralascio per brevità,ma non posso tacere quello
che si fa nei parti laboriosi.
Quando una donna non può partorire, quelle del vicinato accorrono
e aiutano la partoriente con preghiere rivolte a S. Leonardo,
e specialmente ad una Madonna, che si venera in una cappelletta
fuori l'abitato ed è invocata conqueste parole:
Bedda mairi di la purtedda Scatinati sta
puvuredda Pi lu figghiu chi aviti in brazza Cunciditici sta grazia.
Altre volte per favorire il parto le comari
legano al ginocchio destro della partoriente, la cosidetta pietra
prena. Se il collo dell'utero tarda ad aprirsi e impedisce
il parto, prendono una specie di spugna ramificata, chiamata la
rosa del parto, l'immergono dentro un bicchiere d'acqua e vi accendono
intorno tre candele di cera. Quando la spugna ha ilatato completamente
le sue raficazioni per l'azione dell'acqua, il collo dell'utero
si trova aperto e il parto si compie facilmente.
Potrei ancora continuare in questa selva di
pregiudizi ed errori popolari, ma me ne astengo, perché essi in
gran parte sono simili a quelli di tutta la Sicilia, che illustri
folkloristi hanno illustrato con competenza e genialità.
Gli usi e i costumi cambiano come le fogge
di vestire e si trasformano continuamente. Il nostro secolo si
distingue pel suo carattere positivo, acquistato col progresso
della civiltà e colla lotta accanita per l'esistenza; quindi molti
usi locali e caratteristici sono scomparsi e divenuti un semplice
ricordo storico.
Fra gli usi più caratteristici di Ciminna è quello della vecchia
di Natale. « Quel che fanno per la Sicilia in generale i
morti, fa per alcuni paesi particolari una vecchia quanto brutta,
altrettanto buona e cara ai bambini, vò dire la vecchia di Alimena,
la vecchia Strina di Cefalù, di Vicari, di Roccapalumba, la vecchia
di Natali di Ciminna, la vecchia di Capudannu di Resultano, la
carravecchia di Corleone, la Befana di altri luoghi».4
Nei giorni che precedono la festa di Natale, si dice ai fanciulli,
i quali hanno generalmente l'età di due a otto anni,che s'avvicina
la vecchia di Natale, una fata benefica per quelli che stanno
quieti e cattiva per i discoli. Nel primo caso si racconta, che
essa si trova nascosta per preparare dolci e doni, nell'altro
si usa la minaccia che essa viene a prenderli per condurli via
ed è una vecchia decrepita, brutta, sdentata e gibbosa. E in quei
giorni quelle tenere menti sono piene della vecchia di Natale,
e di essa parlano e sognano continuamente. Venuta la sera che
precede la festa, i bambini si mandano a letto presto, perché
deve passare la vecchia di Natale per lasciare i dolci, e siccome
essa non vuoi farsi vedere passa avanti se li trova svegli. In
quella notte cammina per le strade sonando una tromba di conchiglia
e conduce seco molti animali carichi di dolci e giocattoli per
distribuirli nelle case, ove sono bambini. Entra a portechiuse,
poiché per introdursi le basta una piccola fessura e prima di
far giorno ritorna nella sua abitazione, che naturalmente si trova
in luoghi isolati. La mattina i bambini, che per tutta la notte
hanno sognato la vecchia di Natale trovano dolci, giocattoli e
doni d'ogni specie, che i genitori, secondo la loro condizione
economica, hanno avuto cura di preparare ai loro figliuoletti.
Un altro uso, che si mantiene ancora costante, è il bersaglio
fatto negli ultimi giorni di carnevale. Si prende un capretto,
un coniglio, una gallina, un gallo o altro animale,e si colloca
in un dato punto, che ordinariamente è ad una estremità del paese.
Poi ad una determinata distanza vi sispara col fucile, e chi uccide
l'animale o lo ferisce ne diventaproprietario. Vi accorrono i
migliori tiratori del paese e sipaga uno o due soldi per ogni
colpo
Nelle feste secondarie è molto in uso il così detto giucco dell'antenna,
che è comune a tanti altri paesi e forma il sollazzo del popolo
nelle ore pomeridiane. Anticamente vi erano altri usi, che ora
sono scomparsi. Fra quelli più notevoli e più caratteristici vi
era il carnevale, che ora è divenuto un ricordo, come in tanti
altri paesi. Essocominciava ogni anno la prima domenica dopo l'Epifania,
con una solenne mascherata, che rappresentava l'entrata dilu
nannu. Poi continuava con frequentissime feste da ballo, in
tutti i ceti del popolo. Nelle famiglie di bassa condizione si
ballava a suono di zufolo (friscalettu) e cembalo (tammureddu)
con l'intervento di maschere per lo più a pagamento; nelle famiglie
civili si ballava al suono di banda odi pianoforte con intervento
di molte maschere, vestite nei modi più vaghi e bizzarri e divise
in gruppi. In questo modo il carnevale costituiva un periodo attraentissimo
di divertimenti, che ora sono stati sostituiti dalla più grande
indifferenza e musoneria, confermando ancora una volta l'antico
adagno: «Tempera mutantur nos et mutamur in illis».
Fra gli usi, quasi ormai scomparsi in questo paese, devono annoverarsi
anche i pesci d'aprile. Erano scherzi d'ogni genere, talvolta
assai crudeli, che il primo giorno del detto mese si facevano
a moltissime persone del paese.
Un'altra abitudine era in uso fino a parecchi anni addietro, contro
le persone calve, nella notte che precede la festa di S. Pietro.
Sulle porte o sulle finestre di coloro, ch'erano calvi, si metteva
un'erba, che ha la forma di fili e in dialetto siciliano si chiama
gargioii. La mattina seguente, appena fatto giorno, i passanti
ridevano a spese dei padroni di casa, che alcune volte se la prendevano
a riso ed altre volte a male.
4.
Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano,
racolti edescritti da G. Pietre, Palermo 1889, voi. IV, p.
63.
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