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CIMINNA (PA)www.ciminna.eu
Storia, arte, tradizione, costume, usi,
verde, sole.......
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Ciminna
nel XX secolo
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La storia di Ciminna del dott. Vito Graziano giunge alle soglie del sec. XX, più precisamente al 1911, anno della pubblicazione. Da quell'anno ai nostri giorni corrono quasi ottant'anni: un periodo di tempo, dunque, abbastanza lungo, articolato e molto denso di avvenimenti che hanno pure avuto notevoli riflessi anche nella vita dei singoli comuni e, quindi, anche in quello di Ciminna: dalla guerra per la conquista della Libia alla grande guerra, al ventennio fascista, alla guerra per la conquista dell'Etiopia, all'occupazione dell'Albania, alla seconda guerra mondiale, ai problemi del secondo dopoguerra, fra cui, massimamente avvertiti anche a Ciminna, quelli relativi all'emigrazione, al nuovo assetto economico e sociale, alla nuova organizzazione del lavoro. Evidentemente in questo aggiornamento mi limiterò a dei semplici lineamenti, solo per fornire di alcuni elementi di continuità fino ai nostri giorni il testo che il dott. Vito Graziano con tanto amore dedicò a suo tempo al paese natìo e che ora, per iniziativa dell'Amministrazione comunale di Ciminna con in testa il suo sindaco, Michelangelo Barone, si ripubblica con l'evidente proposito di onorare la memoria dell'insigne Studioso e, nello stesso tempo, di rimettere in circolazione un libro per molti versi di attualità e di dare così occasione ai Ciminnesi di meglio conoscere le proprie radici e di acquistare maggiore coscienza della propria identità storica. |
1. Lo stato anagrafico e le condizioni economiche.
1. Università di
Palermo. Facoltà di Magistero. Anno accademico 1977-78. Ciminna
nel secondo dopoguerra: Le condizioni economiche, sociali e politiche.
Tesi di Laurea di Francesca Milazzo. Relatore Francesco Renda, pp. 74-75. La Cassa Rurale e la Casa di Ricovero sono appunto le due grandi opere concepite e realizzate dal Canonico Salvatore Sarullo unitariamente, per cui l'una richiama necessariamente l'altra, in quanto entrambe intese a dare assistenza a quello strato di popolazione che maggiormente soffriva l'indigenza. Ciminna, antica terra baronale, nel momento dell'abolizione della feudalità con la Costituzione del 1812, non aveva grandi feudi, per cui non avvertì che in minima parte il trapasso, come invece avvertirono altri comuni, dal regime feudale al nuovo ordinamento sociale caratterizzato appunto dalla grande proprietà latifondistica, in quanto, trasformati, in forza di quella Costituzione, gli ex feudi in proprietà allodiale, cioè privata, gli ex feudatari erano d'un tratto divenuti grandi proprietari terrieri. Il fenomeno del latifondismo non tocca perciò che «marginalmente il territorio di Ciminna, mentre è molto esteso particolarmente nella parte occidentale dell'isola, dove si manifestano più accentuati i risvolti sociali conseguenti, la mafia compresa, che, appunto, nel secolo scorso fino al fascismo, che la combattè col ferro e col fuoco, ha principalmente nel « feudo » il suo maggiore centro di forza e di resistenza. A Ciminna invece mette radici il movimento cooperativistico che, sorto in Germania, era penetrato pure in Italia a cominciare dall'ultimo ventennio dell'Ottocento e diffuso in Sicilia dal sacerdote Luigi Sturzo di Caltagirone che, a tale scopo, aveva creato una vasta rete di rapporti con sacerdoti di vari comuni. Tale,movimento aveva inoltre avuto un forte sostegno spirituale nel messaggio contenuto nella famosa enciclica Rerum Novarum del 1891 di Leone XIII, intesa a rivendicare una maggiore giustizia economica e sociale. A Ciminna tale messaggio e le sollecitazioni di Luigi Sturzo furono raccolti proprio dal Can. Salvatore Sarullo il quale, con la collaborazione di altri esponenti di buona volontà del paese, riuscì, a fondare una Cassa Rurale di Prestiti, Cattolica. Società Cooperativa a Nome Collettivo, che ebbe il suo crisma legale con atto del notaio Francesco Brancato il 13 gennaio 1901. Nel Regolamento Interno vennero fissate le norme per far parte della cooperativa. Si richiedeva prima di tutto l'iscrizione alla parrocchia di Ciminna, e che si sapesse almeno scrivere il proprio nome e cognome. Ma si richiedeva soprattutto il possesso di vari requisiti, fra cui quelli di non esercitare P«usura», di non avere il vizio del giuoco, di non lavorare nei giorni festivi, di non appartenere ad altra società che avesse «attinenza più o meno lontana col socialismo», di aver cura di dare ai propri figli « un'educazione cristiana in chiesa e nella scuola » e, infine, di regolare « se stesso e la propria f a,miglia cristianamente in privato e in pubblico ». Giova rilevare a questo proposito, che nell'ultimo trentennio del secolo, come in tutta la penisola, anche in Sicilia il movimento socialista s'era largamente diffuso per cui vi si erano impiantate anche delle sezioni dell'Internazionale, peraltro molto efficienti a Palermo con Salvatore Ingegnieros, a Trapani con Francesco Sceusa e a Girgenti con Antonino Riggio, tutte e tre fornite per di più di un proprio pe-riodico di informazione e di propaganda. Gli stessi moti dei Fasci dei Lavoratori della fine del secolo scorso erano stati influenzati da correnti socialistiche. Da qui il movimento cooperativistico di ispirazione cristiana che, sollecitato in Sicilia da Luigi Sturzo, ebbe, nelle Casse Rurali Cattoliche, la manifestazione più vistosa e producente, in contrapposizione anche al movimento cooperativistico di ispirazione socialista che, specie nell'Agrigentino ad opera di Enrico La Loggia, aveva avuto pure qualche successo. Sta di fatto che non era finito il secolo che già s'erano impiantate in Italia oltre 500 Casse Rurali Cattoliche e in Sicilia nel 1902 se ne contavano già 58, salite a 161 nel 1907, destinate ad aumentare ancora.6 La Cassa Rurale di depositi e prestiti di ispirazione cattolica di Ciminna, Presidente lo stesso fondatore Can. Salvatore Sarullo, fu una delle prime Casse Rurali sorte in Sicilia. Suo assistente ecclesiastico fu nominato l'arciprete Can. Giuseppe Calcagno. Gli altri membri del primo Consiglio direttivo furono Ignazio Cocchiara, vice-sindaco, Leonardo Spatafora, Capo-sindaco. Furono nominati invece Sindaci titolari Salvatore Cascio Caeti e il Sac. Vito Graziano; Consiglieri Salvatore Saso, Vito Urso Calè e Vito Guttilla.7 Del grande interesse con cui fu accolta la fondazione della Cassa Rurale soprattutto da parte del piccolo e medio « borgesato » una dimostrazione è data dal crescente numero dei suoi soci. Essa nel 1907, quando furono per la prima volta apportate delle modifiche allo Statuto originario, già contava ben 161 soci. Per disporre appunto di maggiore spazio, ma anche per conservare un certo carattere, diciamo così, ecclesiale, all'istituzione, le adunanze si tenevano nella vasta e monumentale chiesa di S. Domenico, di cui era rettore lo stesso Can. Sarullo. Le accennate modifiche allo Statuto erano di interesse fondamentale. Si trattava infatti di mettere in atto un suggerimento che il Sac. Michele Sclafani (si direbbe e tale era considerato, un emulo di Sturzo) da Girgenti aveva dato con una comunicazione in nome della Commissione Provvisoria del Sindacato Siciliano: quello di fare assumere alla Cassa per Statuto anche l'ufficio di «ente intermediario» tra il Banco di Sicilia e gli agricoltori «anco non soci», perché potessero usufruire del credito agrario per il quale di recente quel Banco aveva aperto anche una sezione. A tale scopo il Banco di Sicilia aveva anche mandato a Ciminna per conferire con gli esponenti della Cassa Rurale un suo rappresentante nella persona dell'avv. Ignazio Mormino.8 Per un'idea dell'azione benefica svolta dalla Cassa Rurale fin dai primi anni della sua fondazione, basta scorrere i verbali del Consiglio di Amministrazione. I prestiti venivano concessi con votazione a maggioranza e con l'avallo di qualche persona di ben nota fiducia, ma spesso, quando si trattava di persona ben conosciuta, « con garenzia della propria firma». Varie le motivazioni per la richiesta dei prestiti. Solitamente erano «per provvedere a bisogni di famiglia», ma erano pure frequenti quelle « per sovvenire un mezzadro » o «per compra di cuoio per la propria bottega», o «per bisogni e pagare la fondiaria», o «allo scopo di acquistare tessuti», o «per comprare legname», o «per pagare debiti e comprare frumento per la famiglia », o « per pagare debiti contratti pel viaggio del figlio in America » : tutte motivazioni che ci fanno ben comprendere quale grande opera sociale ed umanitaria la Cassa Rurale svolgesse, specie nei primi tempi della sua fondazione, allorché, per la grave crisi che era seguita ai moti dei Fasci dei Lavoratori duramente repressi, la povertà era tacito diffusa, coinvolgendo famiglie che pure avevano goduto di un certo benessere e che ora, Anno nel bisogno, per innato pudore pure cercavano di non mostrarlo, ricorrendo al prestito.9 Ma la Cassa Rurale non si mostra prodiga soltanto verso i propri concittadini, ma più volte sovviene anche Casse Rurali di altri comuni che ad essa ricorrono per soccorso, facendo prestiti sotto forma di deposito al 5 %. Così più volte sovvenne le Casse Rurali di fiuterà, di Villafrati, di Crisi (Monreale), di Mezzoiuso con somme, per quell'epoca, certamente considerevoli, fino anche a 15.000 lire per un anno che si poteva anche rinnovare.10 Di particolare utilità la Cassa Rurale è stata nella crisi seguita alla prima guerra mondiale, alla quale Ciminna ha dato pure un notevole contributo di sacrificio (42 morti tra cui i due tenenti Simone Guttilla e Umberto Saso e il sergente Vito Cascio). Pure durante il fascismo la Cassa Rurale continuò con successo a svolgere la sua benefica opera sociale ed economica. Ma proprio durante il fascismo la Cassa Rurale di Ciminna subì, come del resto tutte le altre Casse Rurali, una profonda modificazione nello spirito da cui fino ad allora era stata animata. Nel 1936 infatti, forse anche in conseguenza dei nuovi rapporti tra lo Stato e la Chiesa seguiti al Concordato del 1929, dalla Santa Sede furono impartite disposizioni precise che impedivano ai sacerdoti di impegnarsi nelle opere economiche e sociali, per cui allora le Casse Rurali, per così dire, si laicizzarono. Furono disposizioni, queste, che, appunto, smobilitarono tanta parte del clero dall'impegno tradizionale, peraltro tanto benefico, nei confronti delle Casse Rurali che da allora, quindi, vennero sempre più assumendo il carattere di vere e proprie banche di depositi e prestiti, senza peraltro perdere il carattere cooperativistico originario, continuando ad essere dirette, come in origine, ad agevolare il ceto rurale ed artigiano. Appunto per questa loro intrinseca popolarità, dopo la seconda guerra mondiale, con la restaurata democrazia, esse hanno ripreso a rifiorire. Mi piace perciò concludere questo paragrafo riportando testualmente il prospetto riassuntivo della situazione della Cassa Rurale dal 1972 ad oggi, gentilmente fornitomi dal suo Direttore Giuseppe Guttilla, che sentitamente ringrazio: PROSPETTO DEI DEPOSITI IMPIEGHI E UTILE DAL 1972
AL 1986. (le tabelle sono state omesse in quanto la Cassa Rurale è
stata rilevata dal Monte Paschi di Siena, perdendo anche la denominazione
originale.) A tale prospetto il Direttore Guttilla aggiunge, a
commento, la seguente considerazione che è veramente confortante
per l'avvenire della Cassa Rurale: «Al 21-12-1986, il patrimonio
della Cassa complensivo dei fondi di accantonamento, ammonta a L. 3.107.000.000.
Il dato è molto significativo, in quanto il rapporto tra lo stesso
e gli impieghi è del 68.34 %, per cui la Cassa ha una liquidità
enorme, che la mette a riparo da qualsiasi evento futuro, in special
modo da quello derivante dall'ingresso, tra il 1989 ed il 1992, delle
Banche estere». 6. Isabella Frescata,
Credito agrario e Casse Rurali in Sicilia tra l'SOO e il '900, in «
Annali del Mezzogiorno », Università di Catania. Istituto
di Storia Economica, voi. XVIII, 1978, pp. 115-161. Come ho sopra accennato, il Can. Sarullo non concepì
la fondazione della Cassa Rurale con la sola prospettiva di venire incontro
ai ceti popolari meno abbienti e bisognosi di aiuto e di sostegno contro
l'egoismo del ceto cosiddetto « civile » e benestante, ma
anche con l'idea di impiegare, appena possibile, gli utili dei prestiti
della Cassa nell'impianto di un ricovero, come già accennato,
per gli anziani inabili al lavoro e privi di assistenza e per i bambini
orfani o, comunque, privi dei conforti familiari. Ma è più
producente, a questo proposito, cedere, come suoi dirsi, la parola allo
stesso Can. Sarullo, che, nel discorso di inaugurazione del Boccone del
Povero, nell'ultima domenica di settembre del 1923, ripercorre con profonda
commozione le ragioni umane e sociali che gli avevano ispirato la grande
Opera per la realizzazione della quale non aveva risparmiato energie:
« In sullo scorcio del secolo disse allora, fra l'altro che vedemmo finire e al principio di questo in cui viviamo, le condizioni economiche del nostro paese eminentemente agricolo, come di tutti i paesi rurali, erano sommamente lacrimevoli. I poveri agricoltori, per una lunga giornata di duro lavoro, non lucravano che l'irrisione, vorrei dire l'insulto, di un miserabile compenso, insufficiente al pane per sé e pei grami figlioletti, oltre al dispregio ond'erano abbeverati da ingordi padroni e, peggio, da usurai che li strozzavano senza pietà. La miseria quindi era immensa, indescrivibile; la vita insopportabile: un rimedio si imponeva, come altrove in Italia e fuori così in questo paese. Un piccolo gruppo di persone preoccupate dei mali che affliggevano il nostro popolo, a me si rivolsero; e i loro lamenti trovarono eco pietosa nell'animo mio... e sorse l'istituto economico che da 23 anni ho l'onore di dirigere: la Cassa Rurale. Sorse con un doppio ideale: 1) rialzare le misere condizioni dell'agricoltura depressa e malcurata e degli agricoltori avviliti e sfiduciati, per mezzo del credito giusto ed onesto, mettendo nelle mani dei contadini il denaro necessario al lavoro ed alla vita; 2) coi profitti fondare un'opera di beneficenza che raccogliesse gli orfani ed i poveri che languivano laceri, luridi, affamati per le vie del nostro paese». Il nuovo Istituto sorgeva nei locali dell'ex convento dei PP. Cappuccini, opportunamente ristrutturato, fuori l'abitato, a circa 500 metri dal paese. Perciò continua il Can. Sarullo: «Ci parve che la distanza dalle mura paesane, tra cui si agita il tumulto della vita civile, ponesse, idealmente l'Istituto in un'atmosfera sua propria, la cui pace non sarebbe stata turbata dagli inevitabili contrasti di interessi e passioni di parte; e che il nostro Ospizio, posto lungi e al di sopra di noi tutti, potesse rappresentare come un simbolo della nostra superiore unione, il punto di convegno ideale in cui si sarebbero potute incontrare le nostre anime, in cui potessero raccogliersi in un consenso di pietà e d'amore i nostri sentimenti migliori. (...) Scelto il posto ed ottenuto il vecchio crollante convento dagli eredi del canonico F. Savona, ai quali tutti rendo oggi pubblica meritata lode, fu iniziata la costruzione e i rappresentanti della Cassa Rurale, per dieci lunghi anni, invigilarono qui giorno per giorno i varii lavori, spronati nella loro amorosa solerzia dalla simpatia ognora crescente del popolo, che ammirava e benediceva e, in quest'ultimo tempo, incitati e come trasportati dal generoso entusiasmo nonché dal concorso offerto spontaneamente all'opera loro dalla colonia paesana d'oltre Oceano, specie di New York».11 La cerimonia dell'inaugurazione avvenne in una splendida giornata di sole (anche questo augurale), alla presenza delle maggiori autorità della provincia, religiose, civili e militari: vi presenziarono, fra gli altri, il Cardinale Lualdi, il Prefetto della Provincia, e financo il generale Riolo, comandante il gruppo di Legioni M.V.S.N., oltre al Segretario provinciale fascista Alfredo Cucco, e a rappresentanze dei comuni vicini. Giova ricordare che il fascismo aveva allora preso il potere in Italia neppure da un anno ed ancora non aveva mostrato il suo vero volto autoritario ed imperialista. Ad esso perciò si guardava, nella grande crisi del dopoguerra, con grande speranza, anche da vecchi liberali come il Croce e Vittorio Emanuele Orlando, il «Presidente della Vittoria». Bisogna anche aggiungere che gli organizzatori del nuovo partito al governo profittarono della cerimonia del Boccone del Povero, e, quindi, della presenza in paese di tanto pubblico, per inaugurare anche la costituzione del fascio locale, con la benedizione nella Madre Chiesa del Gagliardetto, madrina l'insegnante Rosetta Barone, figliuola del sindaco. Quindi, tutti quanti in corteo si recano ai Cappuccini per assistere all'inaugurazione del Boccone del Povero. Nella grande piazza antistante l'edificio, in cui un grande palco addobbato con festoni e bandiere era stato eretto per l'occasione e sotto un sole splendente, (si era già a mezzogiorno) presente una grande marea di persone accorse da ogni parte, furono, dal sindaco, dal Can. Sarullo e dal Cardinale, pronunziati i discorsi inaugurali. Ma non mancò una nota imprevista che sollevò anche qualche diceria e malignità nel paese: il prefetto, telegraficamente richiamato a Palermo, per ragioni d'urgenza, si disse, non fu presente al solenne pranzo apprestato dal locale segretario politico dott. Sganga. La benedizione dei locali del nuovo Istituto ai Cappuccini ebbe luogo nel tardo pomeriggio.12 Anche al Boccone del Povero, come alla Cassa Rurale il Can. Sarullo prodigò fino alla morte, nel 1932, le massime sue cure. Suo ultimo atto di amore, ad esso, prima di morire, fece donazione con testamento di tutti i suoi possedimenti avuti in eredità dalla famiglia: piccoli spezzoni di terreno in varie contrade del territorio di Ciminna, oltre ad un « caseggiato» in via Pretura (oggi via Roma), «composto di n. 7 terrane, 4 stanze a 1° piano, n. 2 a secondo piano e terrazza», calcolato nel 1934 del valore di L. 60.000, mentre i terreni vennero, nel complesso, alla stessa data, calcolati a L. 34.000.13 In questo secondo dopoguerra l'Istituto ha perduto la sua antica tradizionale fisionomia di ricovero, per assumere quella, più conforme alle nuove esigenze, di Casa di riposo per l'assistenza agli anziani privi di conforti familiari. A tal fine, cresciuto il numero degli assistiti, sono stati costruiti, accanto ai vecchi, dei nuovi ampi locali. 11. Inaugurandosi in Ciminna
una Casa del Boccone del Povero. Discorso del can. Prof. Salvatore Sarullo.
Palermo, Scuola tip. del Boccone del Povero, 1923, pp. 4-5 e 8-9. L'atto
relativo alla cessione dei « frutti » della Cassa Rurale
ad opera scelta dall'Assemblea Generale non vietata dalle Leggi, nel
caso in specie, al Boccone del Povero, fu redatto dal notaio Francesco
Barone in data 30 nov. 1931. Nella tornata del 6 febb. 1913 la stessa
Assemblea aveva autorizzato il Presidente Can. Sarullo « ad accettare
la donazione del convento dei Cappuccini di Ciminna ed accessorio terreno
(...) che il Rev. Can. Francesco Savona di Ciminna aveva acquistato dal
Ricevitore del Registro con verbale 8 sett. 1882 in notar Comparato da
Ciminna ». 4. Vita politica - Attività ricreative e culturali. Impossibile in queste brevi note di aggiornamento
seguire la vita politica e, singolarmente, l'attività degli oltre
trenta sindaci e podestà e commissari straordinari che si sono
succeduti dall'epoca della pubblicazione della storia di Ciminna del
dott. Vito Graziano ai nostri giorni.14
In questa sede si potrà solo fare qualche rilievo che possa meglio caratterizzare qualcuna delle amministrazioni che si sono succedute in ben quasi ottant'anni. E rileviamo subito che una lunga amministrazione durata ben dieci anni, come quella tenuta dal sindaco Mariano Cascio dal 1900 al 1911, con una breve interruzione del Regio Commissario Straordinario Bruno Borgia nel 1901, non si è più verificata, tranne che in questo dopoguerra con il sindaco Giacomo Barone che, eletto tre volte, tenne l'amministrazione per circa dieci anni, pure interrotta due volte, dal Commissario regionale, prima, Giuseppe La Manna, e dal Commissario straordinario, dopo, Michele Alesi. Rileviamo ancora che in tutto questo lungo periodo non si sono, nel complesso, verificate manifestazioni d'insofferenza tali nella popolazione che abbiano creato dei veri e propri traumi nell'amministrazione. Né tra la popolazione, per la mancanza, come abbiamo già rilevato, di grandi feudi, già al tempo della Costituzione del 1812, si sono costituiti dei grandi e numerosi proprietari terrieri da dare esca a manifestazione di lotta di classe. Il tradizionale numeroso clero (dei diversi conventi esistenti nell'Ottocento a Ciminna ci ha già parlato il dott. Graziano nella sua storia) e la tradizionale educazione religiosa della popolazione (basta osservarla sempre bene ordinata nelle numerose, annuali processioni festive e nelle pratiche in chiesa), hanno sempre tenuto a freno anche quella non piccola fascia di famiglie indigenti, che veramente con profondo spirito religioso e rassegnazione ha sopportato sempre lo stato continuo delle sue privazioni e che è stata poi sempre quella che, sia agli inizi del secolo che nel secondo dopoguerra, ha massimamente alimentato l'emigrazione. La Democrazia Cristiana che, uscita vittoriosa anche a Ciminna dalle elezioni politiche del 1948 e che in vario modo ha sempre tenuto sostanzialmente l'amministrazione comunale, è stata nella popolazione come il lievito pacificatore, per cui, ripeto, anche in periodi di vera crisi, essa un po' per la sua indole, un po' per la « valvola di sfogo » o « di sicurezza » (così è stata considerata da alcuni rispetto anche a tutta l'isola) quale è stata in effetti l'emigrazione, non ha dato mai luogo ad episodi eclatanti. Qualche manifestazione di irrequietezza popolare si è avuta soltanto nell'immediato dopoguerra mentre era sindaco Francesco Guagenti che, per migliorare lo stato finanziario dell'amministrazione, aveva commesso l'« errore » di ripristinare la antica tassa del « focatico », cioè di famiglia; e allorché venne eletto sindaco Paolino Brancato, nelle elezioni del 25 maggio 1957, perché, pur avendo riportato ben 1275 voti di preferenza personale e il suo partito 1736 voti nel complesso, 344 in più della Democrazia Cristiana, egli aveva il « torto » di essere un socialista e, perciò, costretto a dimettersi. Quindi, per ragioni personali, lasciò il paese ed emigrò anch'egli in America. Ma questi sono piccoli episodi che non hanno inciso e che, comunque, non hanno lasciato strascici. Ma ciò non ha tuttavia impedito il verificarsi delle crisi, a volte anche d'un certo rilievo, per cui è stato inevitabile lo scioglimento più volte dell'amministrazione e, quindi, la nomina di un Commissario. Dal 1911, su una trentina di sindaci e podestà ben 13 volte è stato fatto ricorso al Commissario. Ben sette volte soltanto durante il fascismo. Allora, venendo la nomina dall'alto, la scelta cadde di massima su persone di provata fiducia dello stesso paese. Tranne Vincenzo Barone che era già sindaco quando prese il governo il fascismo, e poi Giuseppe Baghetti, Salvatore Barone ed infine Ettore Cascio, Ciminna ebbe sempre Commissari Prefettizi (Salvatore Barone, Salvatore Saso, Ettore Cascio). Più volte la stessa persona rivestì l'una e l'altra funzione. Comunque nel complesso può dirsi che in ogni epoca le successive amministrazioni si sono tutte quante, nelle forme possibili, impegnate per il miglioramento delle condizioni del paese, ed è certo che, nel contesto generale dell'isola, ha anch'esso camminato. Con la valorizzazione delle sorgenti della Gemuta il paese è stato maggiormente provvisto di acqua potabile, sono state maggiormente migliorate le sue strade e con opportune bitumazioni e trasformazioni, rese anche più adatte alle esigenze dei più moderni mezzi di trasporto. A questo fine sono state rese rotabili antiche strade prima impraticabili, essendo il paese situato in una collina e, perciò, con le strade accentuatamente in pendio. Sono state rese rotabili anche antiche trazzere che conducono in località tradizionalmente predilette, dove perciò sono rapidamente sorte tante villette (la seconda casa) fornite anche di luce elettrica, per cui anche il paesaggio della campagna, malgrado l'abbandono agricolo, si è pure notevolmente modificato. Ma, qui, sarebbe da chiarire quanto, oltre all'interessamento e allo zelo dell'amministrazione comunale, si deve invece agli apporti e ai sacrifici dell'emigrazione, che ha in ogni modo straordinariamente (ma questo è un discorso che vale per tutti i comuni dell'isola) contribuito a trasformare e modificare anche l'antica immagine dell'abitato, che ora ha allargato notevolmente il suo tradizionale perimetro con nuove e distinte abitazioni. In una nota rapida come questa non si può dar resoconto del meglio che ciascun amministratore ha cercato di fare, ma è certo che, per la notevole quantità di opere portate a compimento, già iniziate o progettate, si distingue il sindaco Giacomo Barone cui anche per la eccezionale durata della sua gestione è stato possibile mettere in atto tanta attività. Perciò oggi maggiormente se ne rimpiange la immatura scomparsa.15 Tra le attività ricreative anche a Ciminna occupa certamente un posto preminente lo sport, particolarmente quello calcistico che, dopo vari adattamenti dispone oggi anche di un campo, per cui è stato possibile meglio organizzarlo. Ora son già dieci anni che si è potuto organizzare il primo campionato interno con la partecipazione di quattro formazioni locali denominate « San Giovanni », « La FAT », « Juve Fla-via» e, infine, «Fontanella» ribattezzata «Ausonia», relative ai quattro quartieri in cui è stato diviso il paese. Completata perciò nel 1977 la costruzione, presso l'Apur-cheruola, del campo sportivo comunale (importo Lire 58.430.737, impresa Ruggero Emanuele di Palermo), si diede vita anche ad una Associazione Calcistica locale, con primo presidente Felice Cassata, perito purtroppo nel tragico incidente aereo dell'anno successivo a Punta Raisi. Ciò tuttavia non rallentò lo sviluppo di tale forma di sport, per cui, dalla fusione delle quattro squadre si costituisce un'unica formazione che si iscrive al campionato nazionale dilettante di 3a categoria. Anche il campo sportivo venne intanto completato (1981) con la costruzione delle gradinate, capaci di contenere fino a 2000 spettatori, e con il pallacanestro e pallavolo all'aperto e con due campi di bocce (costo complessivo L. 19.821.000). È presidente attualmente dell'Associazione Calcistica il Dott. Rosario Brancato. Il Comune possiede una moderna palestra coperta, mentre un'altra in via di costruzione presso la scuola media. Tra le attività ricreative va pure ricordato il Complesso Bandistico A.C.A.M. «G. Verdi», che, può ben dirsi, vanti ormai, oltre un secolo di vita, essendo sorto nel lontane 1827 sotto forma di orchestra e venuto costituendosi nella forma attuale a cominciare dalla fine del secolo scorso. Nell'immediato primo dopoguerra, negli anni Venti, per una scissione interna, per qualche tempo, Ciminna ebbe financo due bande musicali, per cui una costretta ad assumere un maestro di altro paese. Ma la banda musicale ha raggiunto alto prestigio e rinomanza anche fuori del paese quando si è ricostituita ad unità, particolarmente sotto la direzione di due insigni Maestri: Antonino Cuti (morto nel 1933) e Gabriele Bonanno (morto nel 1971), entrambi compositori, il secondo anche di marce che costituiscono attualmente un suo particolare repertorio. Attualmente ne è direttore Francesco Frangipane, con il quale il complesso bandistico ha conseguito l'ambito primo posto nel Concorso Bandistico « Medaglia d'Oro» del Giovedì Santo 1979 a Caltanissetta. Nel 1981 la tradizionale Banda musicale, per evidenti dissidi interni, è ritornata a scindersi in due, essendosi un gruppo distaccato, per costituirsi in un corpo bandistico autonomo attuale Maestro e Direttore Salvatore Nicosia, assumendo il titolo di « Corpo Bandistico Vincenzo Bellini, Città di Ciminna». Importante l'iniziativa di fornire Ciminna anche di una televisione privata, già in via di sperimentazione, denominata « Teleciminna », con finalità educative, intesa perciò a valorizzare e diffondere le manifestazioni più significative del comune, notiziari, filmati, rubriche e conferenze.16 Una televisione, dunque, con finalità culturali, secondo le più avvertite esigenze attuali, che ben si innestano però nella tradizione locale. Al riguardo, infatti, Ciminna vanta antichissime tradizioni, avendo essa, quando ancora la cultura era privilegio di pochi, scuole per il popolo. Sono particelarmente ricordate dagli storici quelle fondate dal barone don Francesco Ciminna nei locali dell'ex convento di San Domenico al quale egli assegnò delle rendite proprio perché, due religiosi insegnassero ai giovani i rudimenti fondamentali della grammatica e dell'aritmetica, mentre un altro avrebbe dovuto tenere corsi di filosofia e di teologia.17 Scuola tennero anche i Padri Cappuccini, la cui Biblioteca, con la soppressione dei beni ecclesiastici, nel 1866 passò al Demanio che ne fece cessione al Comune. Si trattava, secondo l'inventario fatto dal dott. Vito Graziano, di ben 2.300 volumi, dei quali però, allorché vennero rimossi, nell'immediato dopoguerra, dal solaio, sotto le tegole, della Cappella dell'antico Ospedale, pure passato al Demanio e ceduto al Comune, dove erano stati posti, se ne poterono recuperare poco più di 800, essendo gli altri distrutti dall'umidità. Se mi è consentito un richiamo personale, a scenderli già dal solaio e a collocarli per terra, nella stessa Cappella, nell'immediato dopoguerra per incarico del sindaco pensò il sottoscritto con l'aiuto di alcuni seminaristi e studenti di buona volontà. E ciò costò non piccola fatica ed anche un rischio dovendosi salire nel solaio con una scala di legno, per accedervi da una specie di sportello che era anche di piccole dimensioni. E fu gran pena, alla fine, vedere in mezzo alla Cappella un gran mucchio di libri anneriti e rosicchiati dai topi e irrecuperabili. Ma il Comune non smise il suo interesse per la cultura, per cui si preoccupò, con deliberazione del 14 aprile del 1977 di instaurare l'antica Biblioteca che, con pubblica cerimonia e alla presenza di autorevoli rappresentanti della Soprintendenza Regionale ai Beni Culturali, venne aperta al pubblico con il 1° dicembre successivo, in un'aula della Scuola elementare, in Piazza Alcide De Gasperi, passata nel 1979 nei locali in cui si trova attualmente, in via Roma, 2. Ma è prevista la sua collocazione definitiva nei vecchi locali dell'antico Ospedale, dopo evidentemente i lavori di ristrutturazione e di restauro. Notevole intanto l'incremento del patrimonio librari Dai 900 volumi circa, compresi quelli provenienti dall'antica biblioteca dei PP. Cappuccini, oggi si è passati ad oltre 400 volumi con enciclopedie e testi di varia cultura, sufficiente perché la Biblioteca cominci ad assolvere al compito che è proprio di sovvenire la popolazione studiosa locale nei suoi più immediati bisogni di consultazione e di conoscenze. È stato appunto questo il principale compito tradizioni mente attribuito alle biblioteche pubbliche: di contribuire diffondere quanto più possibile la cultura nella popolazion dando a tutti la possibilità di accedervi. Giova a questo proposito rilevare che oggi alla « cultura» si attribuisce un significato ben più ampio di quel tradizionale. Su ciò, in questa sede, non è evidentemente possibile fare un lungo discorso quale appunto il problema richiederebbe, ma può bastare rilevare che essa ha perduto il ristretto carattere aristocratico e dottrinario tradizionale per assumere quello ben più ampio di acquisizione degli elementi fondamentali propri della comunità di cui si parte, cioè di formazione intellettuale e morale, e, quindi, sviluppo armonico dell'uomo, il che significa liberazione e certa vieta arretratezza nel modo stesso di svolgere la propria attività, a tutti i livelli. Non si dimentichi che la cosiddetta « questione meridionale », è, principalmente, un problema di «cultura», non nel senso antropologico, ma nel senso che abbiamo rilevato, nel senso soprattutto intellettuale e spirituale. Si tratta, infatti, essenzialmente di una questione di mentalità. Rinnovando il modo di pensare, la mentalità, rinnova il comportamento, si acquisisce maggiore professionalità (a tutti i livelli), e si rinnovano anche le forme di produzione e dei rapporti fra gli uomini. Da qui anche una maggiore comprensione reciproca e, quindi, una maggiore socialità, a cui sembra avviarci la stessa scienza con la grane quantità di mezzi di comunicazione che oggi ci mette a d sposizione.
Si può, dunque, anche ignorare come Dante
abbia distribuito i peccatori nell'Inferno, ma non si deve ignorare quali
sono i compiti specifici della propria « professione », a
cominciare da quelli che lavorano la terra per finire nel capo dello
Stato. Oggi in tutto si richiede «cultura», cioè professionalità,
e senso di responsabilità, cioè delle finalità e
dei limiti del proprio compito. Ora, nel Mezzogiorno, compresa la Sicilia,
purtroppo è questa « cultura » quella che in generale
manca: « cultura » che invece, occorre darne atto, a preferenza
possiede, in generale, la gente del Nord, per cui, per esempio, è
potuto avvenire, nell'immediato dopoguerra, che molti lavoratori, soprattutto
della campagna, è dovuta emigrare in buona parte, guarda caso,
proprio nel Nord, dove s'erano subito cominciati ad organizzare la ricostruzione
e il lavoro, mentre nell'Italia meridionale, la classe dirigente si è
lasciata sfuggire tante forze, tante energie, che erano poi le più
valide, sicché il risultato attuale, pur avendo in qualche modo
camminato anche il Mezzogiorno, compresa la Sicilia, di fatto, come rilevano
le stesse statistiche ufficiali, il divario tra Nord e Sud è cresciuto,
per certi aspetti, anche in modo preoccupante.
È stato perciò un atto di grande coraggio e quanto mai opportuno quello del 14 aprile del 1977, per cui, come già ricordato, l'Amministrazione comunale di Ciminna deliberò la riapertura dell'antica Biblioteca, per dare la possibilità alla popolazione di alimentare i suoi bisogni di «cultura», appunto nel senso che abbiamo cercato rapidamente di chiarire. Quale importanza abbia per una comunità (che sia piccola o grande non importa) la Biblioteca pubblica l'hanno ben capito gli Stati Uniti d'America, dove, nella gestione della cultura, già da tempo, è entrato in funzione anche l'uso del computer, per cui, chiunque lo richieda, viene rapidissimamente fornito del libro indicato. Certamente la Biblioteca di Ciminna non ambisce a tanto, né una prestazione di servizi tanto sofisticata gioverebbe. Ma è certo che vi è nell'Amministrazione una grande disponibilità a renderla quanto è più possibile attiva a servizio della comunità, trasferendone quanto prima in locali più centrali e idonei, precisamente, come già accennato, nei locali dell'antico Ospedale opportunamente ristrutturati. Appunto questo vivo interesse per la « cultura » come uno dei principali fattori dello sperato rinnovamento del paese, in tutti i sensi, mi ha indotto a far dono della mia biblioteca personale, comprese le collane di riviste estinte e in corso di pubblicazione, alla Biblioteca Comunale di Ciminna (già non pochi libri vi sono stati depositati), che viene così ad arricchirsi di una notevole quantità di testi di cultura moderna, con pezzi anche rari o, comunque, non facilmente a portata di mano. Ripeto, la cosiddetta « questione meridionale » è essenzialmente una questione « culturale » e, quindi, di mentalità e di professionalità. Ciminna, come del resto tutti i comuni del Mezzogiorno, può meglio sperare nel suo avvenire con una gioventù che cresca ben formata «culturalmente». Da qui la responsabilità anche della scuola, oggi obbligatoria per tutti, perché da essa escono non soltanto gli operatori in ogni campo di attività, economiche ed amministrative, ma anche i dirigenti sociali e politici, coloro cioè che occupano i posti di maggiore responsabilità e direzionali. Da qui l'importanza anche della Biblioteca pubblica come supporto della «cultura», di cui oggi nessuno può più fare a meno. Non si dimentichi neppure che la parola « cultura » deriva da « coltivare » nel significato di curare, migliorare, perfezionare, con riferimento particolarmente ai campi perché rendano di più e meglio per un maggiore benessere comune. Anche in questo senso Ciminna ha già dato nobilissimi esempi che ci lasciano bene sperare per l'avvenire. A considerarne, infatti, la storia nel complesso delle sue manifestazioni in ciò che la sua comunità ha saputo nel tempo esprimere attraverso i suoi uomini migliori, Ciminna ha potenzialmente tutte le possibilità per migliorare le sue condizioni. Il dott. Vito Graziano ha ricordato nel suo testo tanti uomini illustri, distintisi nei vari rami dell'attività umana. La schiera di tali uomini, che con la loro operosa attività hanno contribuito a dare rinomanza anche al paese, si è venuta sempre più arricchendo nel secolo XX, per cui è impossibile in questa breve nota fare anche solo menzione di tutti. Tra coloro che mi sorgono immediatamente alla memoria ricordo per primo il Sac. Giuseppe Rizzo, il quale, laureatesi a Palermo con Giovanni Gentile, fu certamente uno dei più insigni studiosi del Ròsmini in Sicilia su cui scrisse dei saggi, ritenuti ancor oggi tra i più acuti e penetranti.18 Nel campo della storia dell'arte si distinse invece il Sac. Filippo Meli il quale svolse sia attività didattica, quale titolare di cattedra nei Licei (insegnò anche dal 1932 al 1936 presso l'Istituto statale d'arte di Lucca), sia attività scientifica (insegnò storia dell'arte presso l'Accademia di Belle Arti di Palermo). Scrisse numerosi saggi, fra cui, meritamente famosi, quello su Giacomo Serpotta e quello su Matteo Carnilivari e l'architettura del Quattrocento e del Cinquecento in Palermo19 Nelle lettere classiche si distinse mons. Francesco Ferrante che fu prefetto degli studi del Seminario di Palermo e rettore della Cappella Palatina della medesima città. Notevole attività culturale svolse anche Mons. Vincenzo Monastero che, quale oratore, andò certamente per la maggiore, per cui fu spesso chiamato, quale quaresimalista, anche in varie città del continente. Nel campo culturale e organizzativo va pure ricordato Mons. Vito Graziano che fu per tanti anni rettore del Seminario Arcivescovile di Palermo. Ricordiamo infine Don Giacomo Alomia, Provinciale della Società dell'Apostolato Cattolico Pallottino a Roma e Direttore nazionale della pontificia Opera Santa Infanzia,?. Fedele Barone, Ministro Provinciale dei Padri Cappuccini di Palermo e P. Calogero Guttilla, Cappellano Militare. Come si rileva, ancora in pieno secolo XX a Ciminna la cultura è stata patrimonio particolare del clero, il quale, numerosissimo fino ancora alla seconda guerra mondiale, come in tutti i paesi del mondo cattolico, è negli ultimi tempi notevolmente diminuito. Se ne attribuisce in generale la ragione alla istituzione della scuola dell'obbligo. Si fa appunto iniziare il fenomeno con la introduzione della nuova scuola media, per cui viene rilevato che esso è più accentuato nelle classi inferiori dei seminari che non in quelle superiori e in teologia. Comunque anche nel clero a Ciminna circola una nuova mentalità e non sono pochi quelli che, trasferitisi a Palermo, vi svolgono operosa attività. Tra coloro che si sono massivamente distinti, vanno pure ricordati il notaio Antonino Scimeca (1870-1937), che fu anche amministratore al Comune e all'Ospedale Civico, oltre che avvocato e oratore valentissimo; il Generale di Corpo d'Armata Vito Scimeca (1775-1953), pluridecorato al valore militare, insignito della Legion d'Onore, della Croce di guerra belga e di quella americana; il dott. Vito Barone (1894-1962), magistrato di Cassazione, il quale, passato nella sua lunga carriera per i diversi gradi sempre con distinzione, ebbe, nel 1951, un pubblico riconoscimento dal Ministero di Grazia e Giustizia con la Medaglia d'Oro al merito della redenzione sociale; il dott. Salvatore Saso, che fu anche Vice-Sindaco a Palermo e Direttore sanitario del carcere Ucciardone della stessa Città. Tra gli uomini che pure emersero nell'attività professionale un posto di rilievo occupa il prof. Salvatore Monastero che fu anche deputato nella prima legislatura del Parlamento regionale e titolare di Cattedra e Preside della Facoltà di Agraria nell'Università degli Studi di Palermo. A lui si attribuisce il merito di avere meglio individuato la natura della cosiddetta «mosca olearia», il parassita che tanto danno produce alla pianta dell'ulivo. Un ricordo merita anche il prof. Giuseppe Passantino, titolare di anatomia presso la Facoltà di Veterinaria dell'Università di Messina, di cui fu anche preside. Ricordiamo infine l'alto ufficiale dell'Esercito Giuseppe Raimondi, generale di Brigata della motorizzazione. Nella pubblica amministrazione particolarmente si distinse pure il dott. Michele Maiorca che fu anche Segretario Generale dell'Assemblea Regionale Siciliana. Ma in questa sede egli va principalmente ricordato come uno dei più zelanti organizzatori di attività culturali a Ciminna. A questo proposito una menzione merita pure la signorina Teresina Cacti che non conseguì neppure titoli culturali, ma che mostrò tanta capacità nell'opera cui massimamente si dedicò, delle organizzazioni giovanili cattoliche femminili, per cui essa, donna Teresina (così veniva affettuosamente chiamata), costituì veramnte un validissimo stimolo nell'ambiente delle donne ad uscire dal tradizionale focolare domestico, per cominciare ad affacciarsi esse pure alla vita sociale e pubblica. Fu, insomma, per Ciminna un'anticipatrice di quella che oggi si dice emancipazione femminile. Mi piace concludere questa rapida rassegna degli uomini illustri ricordando anche il dott. Francesco Graziano, pediatra tra i più rinomati e, per molto tempo, uno degli specialisti più qualificati dell'Ospedale dei Bambini di Palermo. Sinceramente attaccato alla memoria del padre e, si direbbe, anche geloso di quanto era a lui appartenuto, mostrò profonda soddisfazione quando, poco tempo prima della sua morte, già molto sofferente, ma in piena lucidità mentale, fu da me personalmente informato di questa seconda edizione della storia di Ciminna, decisa dal Comune. Ora che la ripubblicazione dell'Opera è avvenuta, egli sarebbe certamente quanto mai felice nel vedere così rinverdire il ricordo del padre tra la popolazione alla quale lo vide, come medico e come cultore del folklore locale, massimamente dedicare il meglio delle sue capacità e della sua intelligenza 18. Per un rapido profilo vedi Francesco Guercio, Giuseppe Rizzo, un rosmtniano di Sicilia, in Atti dell'Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo. A. Acc. 1983-84. Parte II, Lettere, Palermo, 1986, pp. 187-199. 19. Vedi Gemma Salvo Barcellona, Filippo Meli, in « Nuovi Quaderni del Meridione», a. XIII (1975), n. 49, pp. 80-88
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