1. Discorso
integrale da tenere in occasione del ritorno in Ciminna del restaurato
simulacro di M. SS.ma Immacolata. Dentro la chiesa di San Francesco
d’Assisi il 25 novembre 2006 (Arturo Anzelmo).
Le motivazioni di questo incontro, inducono
a rimarcare come la statua del Barcellona, che grazie alla competenza
ed all’opera paziente dell’amico Gaetano Correnti,
rivediamo stasera negli splendidi
colori con cui la completò il cappuccino
fra Benedetto Valenza da Trapani, unitamente al raro Crocifisso
del Gagini, all’ultima tela del D’Anna, allo splendido
Sant’Onofrio del Randazzo, per non parlare d’altri
pregevoli pezzi, è un ulteriore testimonianza del valore
del nostro patrimonio artistico. Scelta che palesa la portata
culturale del convento ciminnita. A monte vi sta una tradizione
colta e di lunga durata, il radicamento di un ceto istruito, capace
di servirsi dei segni dell’artificio estetico come epifania
del proprio status, responsabilizzato e forte dell’orgoglio
di rappresentare la comunità.
L’opera si colloca nei decenni in cui a Palermo operano
Damiani Almeyda, Marvuglia, Dufourny e tra gli scultori primeggia
il Marabiti. Nell’arte sacra è attivo ancora fra
Benedetto Valenza cui va ascritto il Crocifisso dei Cappuccini,
il Quattrocchi, che nello stesso 1781 consegna a Ciminna il gruppo
del Rosario. L’opera rispecchia modelli diffusi nell’area
cattolica europea. Ne cito due poco note e vicine alla nostra:
quella di Bolognetta, identica -salvo che per il capo rivolto
in alto- e l’altra, non meno pregevole, di Caltabellotta
sullo stesso archetipo. L’ottima esecuzione del Barcellona
ed i colori del Valenza esitano un prodotto che soddisfa i frati
in ordine ad una scelta che li rappresenta di fronte un pubblico
esigente e capace di giudizio.
Fatta questa premessa, voglio soffermarmi sulle non meno importanti
testimonianze legate al culto dell’Immacolata, l’addobbo
della vara ad esempio; tradizione che si è
lasciata spegnere cancellando una delle peculiari caratteristiche
esteriori di questa festa.
Fave e piselli con i loro baccelli, pere e mele, prumesta ’nzolia
niura, (tenute fresche con il sistema del coppu) nespole, cotogne,
sorbe e melograni, arance e carciofi dal verde gambo... che, tra
festoni di lauro e fronde d’agrumi, incorniciavano artistici
pani, forse eco di quell’usanza di distribuire pane ai poveri,
secondo le volontà dello speziale genovese Giulio di Geronimo,
bisnonno del nostro Paolo Amato.
Se finita la festa, i frutti, per la credenza che le cosiddette
voglie non esaudite provocassero indesiderati effetti sui nascituri,
erano riservati alle gravide; se le ciminnite facevano voto alla
Vergine portando durante la gestazione un abito celeste; se, dal
sostare del simulacro nella parrocchiale -dove avrà luogo
la Veglia natalizia-, nasce una delicata quanto tenera leggenda
che vuole come la Madonna salga alla Matrice per confezionare
a cammisedda del nascituro Bambinello, non dobbiamo pensare che
quell’offerta fosse legata alla superstizione. Con quella
messe di frutti si affidava a Maria la speranza del seme dato
alla terra, riconosceva la dovizia delle sue grazie spirituali.
Non a caso alla Matrice la cappella dedicata alla Vergine (oltre
che.di festanti e simpatici putti) è stracolma di festoni,
ghirlande e barocche cornucopie che traboccano d’ogni varietà
di frutti.
La festa ovunque è associata a manifestazioni in cui è
presente l’utilizzo di frutta, pane, fronde d’alloro
e sempreverdi. Ancora più diffuse sono fiaccolate, veglie
notturne, processioni all’aurora, pranzi rituali e (simbolica
luce nella notte) i falò.
A Palermo, nei vecchi quartieri, ricordo processioni della vigilia
attraverso percorsi rischiarati da falò, per non parlare
di simile manifestazione a Baucina. Servendomi di quanto mi comunicava
Pippo Oddo, segnalo: Caltabellotta, “Vampa di lu diavulazzu”
che viene arso a chiusura della festa; Sciara, processione all’aurora
con fiaccolata, addobbo della vara con fiori ed arance e falò
di chiusura; Portopalo di Capo Passero, offerta di grandi cuddure
votive riccamente guarnite. A Lercara Friddi, come mi segnala
Nicolò Sangiorgi, la notte della vigilia è allietata
da suonatori che girano il paese; e poi a pranzo ed a cena, si
consuma la muffuletta.
Si dice che u Triunfu
sia la rievocazione della notte nella quale
si attese l’arrivo del nuovo simulacro, ma questa convinzione
non spiega come mai non sia un’esclusiva del tutto ciminnita.
La memoria di quell’evento redatta dal Reverendo Sceusa,
accenna di fatto a momenti di straordinario giubilo popolare.
Il religioso scrive quella pagina nel 1791 -se non qualche anno
più tardi- a distanza di dieci anni dagli avvenimenti.
Se si fossero ripetuti annualmente, se fossero divenuti usuali
a partire da quella notte di vigilia, avrebbe avuto più
di un motivo per lasciarne memoria. I resoconti dell’amministrazione
civica per il 1795 accennano a spese per due processioni, senz’altro
specificare: compreso u Triunfu sono tre e credo che le autorità
partecipassero a quelle, per così dire, canoniche.
Il dottor Graziano storico, ma ancor di più autorevole
studioso del folklore locale, conosce bene la relazione Sceusa
e nel 1911 dà notizia del commovente ingresso della statua
in paese; nel ’35 licenzia per le stampe “Usi
e costumi, canti e leggende...”; non una parola sul
Triunfu. Una trascuratezza davvero imperdonabile se, u Triunfu
fosse davvero legato a quell’evento.
Appare fuor di luogo dunque, continuare a forzare il contenuto
di quella cronaca per avvalorare acriticamente un’affermazione
non sostenuta da alcun documento.
Nella lettera apostolica con la quale, nel 1981, S.S. Giovanni
Paolo II commemorava il 1550° anniversario del Concilio di
Efeso, che proclamò Maria Madre di Dio, il pontefice ricorda
come la sera del 22 giugno, giorno inaugurale del Concilio, celebrato
nella Cattedrale della «Madre di Dio (gli Efesini), acclamarono
con quel titolo la Vergine Maria e portarono in trionfo i Padri
al termine di quella prima sessione. Quell’occasione vide,
condurre in processione un’immagine della Purissima in mezzo
a due ali di fiaccole e gli Efesini trascorrere la notte in bivacchi
festivi; eventi che si tradussero nelle manifestazioni legate
alla festa liturgica della Madre di Dio. Monsignor Michele Sarullo,
ottimo cultore di storia e tradizioni religiose, proponeva correttamente
un legame tra quegli eventi e le manifestazioni popolari correlate
alla festa dell’Immacolata compreso u Triunfu di Ciminna.
Anche se la tesi è da approfondire -riferendo l’inedito
parere di un amico- pare che nella media latinità si confezionasse
già un sostanzioso manicaretto con farina di frumento e
tritato di maiale simile alla nfriulata. La definizione potrebbe
derivare dal latino infriare da cui infriatam -sminuzzata-, con
riferimento alla farcitura. Se cosi è, atteso come sia
percorribile l’ipotesi di una Ciminna bizantina, la nfriulata
è un reperto che testimonia di una lunghissima tradizione.
D’altro canto, su tale presupposto -ad accettare il presunto
legame con la nuova statua-, appare ancor più che sorprendente
che i Ciminniti, proprio quella notte, dopo oltre mille anni,
recuperassero una dimenticata ricetta romana.
Il culto della Concezione a Ciminna, è certo più
antico di quanto è fin’ora documentato; reinserire
u Triunfu nel contesto vero della festa è un doveroso ritorno
alla purezza della tradizione. Recuperarne origini e motivazioni,
ci aiuterà ad espungerne ogni forma di feticismo, se non
gli aspetti paganeggianti, tendenzialmente adombrati da questa
recente leggenda.
Esso si innesta su radici storiche ben più profonde.
E’ semmai il ricarico, il portato della cultura con le sue
peculiarità locali, che di per se, esalta le valenze della
manifestazione caratterizzandola rispetto alle similari, facendone
un evento ciminnita.
Semmai dobbiamo chiederci se u Triunfu, anche nei suoi aspetti
esteriori, è ancora quello di un tempo o, un’altro,
completamente nuovo e diverso. Da tempo è scomparsa la
fiaccolata cu i busuna e la vulata d’i balluna -mongolfiere
di cartavelina- (interessante e coerente interpolazione), stanno
scomparendo i
falò; la vara sempre più grande
ha finito per far ballare molto meno portatori e Marunnuzza,
anche il vino si è annacquato e, scusate: qual’è
la vera nfriulata ciminnita?
Studiosi, operatori deputati alla trasmissione del sapere, associazioni,
istituzioni chiamate a promuovere cultura, parrocchia ed amministrazione
comunale in testa, abbiamo tutti il dovere di recuperare criticamente
quello che c’è di veramente ciminnita nella nostra
cultura, salvaguardandoci dalle tante corbellerie diffuse dal
replicante tam-tam di internet, dalla incurabile ecolalia di certe
recentissime stampe divulgative, di guide turistiche all’ignoranza,
se non vogliamo che la storia di Ciminna sia la storia di un posto,
di un paese uguale, omologato a tanti altri.
Se non vogliamo che questa sia la storia di un’isola che
non c’è.
ARTURO ANZELMO - 25 NOV. 2006
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