Dott. VITO GRAZIANO
Canti e leggende
Usi e costumi di Ciminna
1935
Comune di Ciminna
Biblioteca Comunale
2001
Un medico-etnografo
a Ciminna
SERGIO BONANZINGA
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Un medico-etnografo a
Ciminna
L' affermarsi degli studi demologici nella
Sicilia post-unitaria comportò duraturi effetti nella
storia culturale dell'Isola. L'impegno profuso dal medico
palermitano Giuseppe Pitrè si tradusse nella progressiva
estensione delle indagini al complesso delle manifestazioni
della vita popolare tradizionale (dialetto, proverbi, indovinelli,
fiabe, giochi, feste, mestieri, usi, credenze, pratiche magico-mediche,
ecc.), superando la posizione romantico-risorgimentale che
aveva sostanzialmente identificato il folklore con i prodotti
poetico-musicali. I venticinque volumi della Biblioteca delle
tradizioni popolari siciliane, dati alle stampe da Pitrè
tra il 1870 e il 1913, costituirono un punto di riferimento
metodologico e una sollecitazione operativa per molti studiosi
attivi nei centri di provincia. La creazione dell'Archivio
per lo studio delle tradizioni popolari, periodico che Pitrè
fondò e diresse insieme a Salvatore Salomone Marino
(anch'egli medicofolklorista) dal 1882 al 1909, costituì
un ulteriore terreno di confronto e di stimolo, nell'ambito
di un più ampio progetto culturale che intendeva porre
gli studi siciliani a contatto con i progressi della scienza
folklorica maturati in Italia e in Europa. Questa intensa
attività documentaria e pubblicistica contribuì
a gettare le basi per la consacrazione accademica di una nuova
disciplina, la Demopsicologia, il cui insegnamento fu tenuto
da Pitrè presso l'Università di Palermo a partire
dal 1911.
Intorno alla figura di Pitrè ruotarono numerosi "corrispondenti".
Si tratta perlopiù di insegnanti, sacerdoti, borghesi
e aristocratici accomunati, al di là dei variabili
atteggiamenti con cui osservavano i fatti popolari, da una
profonda passione per la Sicilia. Molti di essi si rivelarono
ricercatori puntuali, e furono a loro volta autori di apprezzabili
monografie e articoli dedicati ai loro centri di provenienza,
secondo l'esempio di studiosi come Corrado Avolio e Serafino
Amabile Guastella che avevano rispettivamente concentrato
le proprie indagini etnografiche a Noto e a Modica. Grazie
all'opera diligente di questi "intellettuali di provincia"
e dei loro numerosi epigoni si è venuto così
formando un ampio repertorio folklorico di interesse locale
che approfondisce e amplia i compendi delineati nelle opere
di Pitrè e, in misura minore, di Salomone Marino. Tra
gli autori più rappresentativi si possono ricordare
Fortunato Mondello (Trapani), Raffaele Castelli (Mazara),
Cristoforo Grisanti (Isnello), Francesco Mina Palumbo (Castelbuono),
Salvatore Raccuglia (Villafrati), Gaetano Di Giovanni (Casteltermini),
Giuseppe Bianca e Gaetano Gubernale Apollo (Avola), Michele
Alesso e Francesco Pulci (Caltanissetta), Benedetto Rubino
(San Fratello). Non meno importante è stato l'originale
contributo di due musicisti-etnografi come Alberto Favara
(Salemi) e Corrado Ferrara (Noto), ai quali dobbiamo la trascrizione
su pentagramma di quasi 1200 tra canti e musiche popolari.
Il crescente interesse suscitato dalle tradizioni popolari
è d'altra parte attestato dalla creazione nel giro
di due anni di ben tre periodici con identico programma: La
Siciliana (fondata ad Avola nel 1912 da Gubernale Apollo),
Akragas (fondata ad Agrigento nel 1912 da Raccuglia) e Sicania
(fondata nel 1913 a Caltanissetta da Raccuglia e Alesso).
L'idea di base, ereditata da Pitrè (che scomparirà,
insieme a Salomone Marino, nel 1916), sarà quella di
assumere il Folklore nell'ambito di un processo critico che
includesse la Storia, l'Arte, e l'Archeologia, quattro discipline
volutamente accomunate nelle testate delle tre riviste.
In questo panorama intellettuale rientra senz'altro Vito Graziano,
anch'egli un medico come Pitrè e Salomone Marino che
seppe coniugare l'esercizio della professione all'indagine
storico-etnografìca. Una solida formazione in campo
sia naturalistico sia medico-chirurgico, acquisita attraverso
studi universitari che lo portarono al conseguimento di due
lauree, e uno specifico interesse riguardo ai riflessi del
clima e dell'ambiente fisico sull'indole e sulle condizioni
materiali di vita degli esseri umani (cfr. 1890a, 1890b, 189la,
1891b), costituiranno il fondamento della sua etnografia,
quasi sempre priva di enfasi e assai puntuale nella descrizione
di pratiche e comportamenti rilevati nel contesto popolare.
Non è un caso che le indagini svolte a Ciminna si siano
dapprima indirizzate verso aspetti igienico-sanitari (1892,
1901) e solo in un secondo tempo sia maturato l'interesse
per la storia locale e, di conseguenza, per il folklore. Nel
1911, quando Graziano è già quarantasettenne,
sarà infatti dato alle stampe il volume Ciminna. Memorie
e documenti, che contiene capitoli dedicati alla "Demopsicologia
Ciminnese" ( parte
II, cap. VI) e alle "Feste, tradizioni e costumanze
sacre" ( parte
III, cap. IV). Il capitolo sulla demopsicologia è
aperto dal paragrafo "Caratteri fisici e psicologici
degli abitanti", esempio emblematico di intersezione
fra competenze medico-fisiologiche e orgoglio municipalistico:
I ciminnesi sono generalmente di statura regolare
e di colorito bruno con capelli ed occhi castani. Le donne
somigliano agli uomini per questi caratteri, e non sono rare
fra esse quelle notevoli per bellezza; sono anche fisicamente
ben conformate, onde son pochi gl'interventi ostetrici per
vizi pelvici. Ma da qualche tempo la costituzione degli abitanti
sembra un poco deteriorata, come mostrano i risultati delle
visite fatte nei consigli di leva. [...] Le malattie dominanti
sono le febbri malariche ed infettive, le malattie di petto
e quelle intestinali, e fino a poco tempo addietro anche il
gozzo, che ora è divenuto raro. [...] Sono di carattere
espansivo e di mente svegliata ed aperta alle varie manifestazioni
del bello e del buono. Perciò hanno spiccate tendenze
alla musica, al canto, al ballo e a tutte le arti belle, ed
amano le rappresentazioni teatrali, la compagnia e i divertimenti
d'ogni genere. Gli uomini sono sobri e attivi, le donne accudiscono
alle faccende domestiche, ma nel tempo dei maggiori lavori
campestri aiutano l'opera dell'uomo.
II sentimento religioso è molto profondo nel popolo,
e alcune volte si rivela con manifestazioni eccessive. Le
feste religiose sono molte di numero e se ne contano, per
così dire, di primo, secondo e terzo ordine, che si
fanno quasi tutte con elemosine ed offerte popolari.
Questo appassionato ritratto degli abitanti di Ciminna, forse
troppo ottimista nel delineare una comunità apparentemente
perfetta, rivela quella tensione tra realtà e idealizzazione
che ha in larga misura caratterizzato gli studi demologici,
non solo siciliani. Graziano da un lato prende atto delle
condizioni materiali della vita popolare, e lo fa con il professionale
distacco palesato negli scritti a tema medico-sanitario (si
vedano specialmente i testi del 1892 e del 1901), dall'altro
tende a valorizzare quegli aspetti della cultura popolare
ai suoi occhi meno "retrogradi" e più rappresentativi
sul piano etico-morale. A tale riguardo è sicuramente
interessante riportare per esteso le considerazioni relative
alle pratiche magico-mediche, pure incluse nel capitolo sulla
demopsicologia in Ciminna. Memorie e documenti (paragrafo
3, "Pregiudizi"):
Oltre alle dette leggende il popolino presta
fede ad alcuni pregiudizi, che vanno diminuendo a misura che
si estende l'istruzione elementare. Accenno quelli principali,
per far meglio conoscere l'indole di questi abitanti.
La maggior parte di essi riguarda le cure mediche, i parti
ecc. Chi ha malattie di pelle non deve fare altro che aspettare
la mattina dell'Ascensione. In quel giorno le erbe acquistano
virtù speciali, e chi ignudo s'avvoltola su di esse
guarisce subito delle dette malattie. Vi sono quelli che tolgono
la punta (pleurite), acconciano le ossa rotte o slogate,
guariscono le insolazioni, i vermi e il cosiddetto gruppo
di latte ai bambini, e tante altre cose, che tralascio
per brevità, ma non posso tacere quello che si fa nei
parti laboriosi.
Quando una donna non può partorire, quelle del vicinato
accorrono e aiutano la partoriente con preghiere rivolte a
S. Leonardo, e specialmente ad una Madonna, che si venera
in una cappelletta fuori l'abitato ed è invocata con
queste parole:
Bedda
Matri di la Purtedda
Scatinati sta puvuredda
Pi lu figghiu chi aviti in brazza
Cunciditici sta grazia.
Altre volte per favorire il parto le comari legano al ginocchio
destro della partoriente, la cosiddetta pietra prena.
Se il collo dell'utero tarda ad aprirsi e impedisce il parto,
prendono una specie di spugna ramificata, chiamata la rosa
del parto, l'immergono dentro un bicchiere d'acqua e vi accendono
intorno tre candele di cera. Quando la spugna ha dilatato
completamente le sue ramificazioni per l'azione dell'acqua,
il collo dell'utero si trova aperto e il parto si compie facilmente.
Potrei ancora continuare in questa selva di pregiudizi ed
errori popolari, ma me ne astengo, perché essi in gran
parte sono simili a quelli di tutta la Sicilia, che illustri
folkloristi hanno illustrato con competenza e genialità.
Il passo appena citato non compare nel testo del 1934 qui
ristampato, e a ricordo dei "pregiudizi ed errori del
popolino" viene solo fornita la trascrizione di alcune
invocazioni da recitarsi nei casi di parti difficili (oltre
quella rivolta alla Madonna della Portella, ve ne sono altre
indirizzate alla Madonna di Montserrat, a san Vito, a sant'Antonio
e a san Rocco). Di certo Graziano, impregnato di scientismo
positivista, non poteva che provare disagio nel constatare
la persistenza di un sistema di pensiero connotato come "arretrato"
e "irrazionale". Diversamente da Pitrè, che
recupera queste pratiche considerandole «un'abberrazione
dello spirito umano» ma nel contempo «reliquie
di civiltà e di popoli scomparsi», e vi dedica
infatti il XIX volume della sua Biblioteca ( Medicina popolare
siciliana, Palermo 1896; le frasi citate sono a p. XXII),
Graziano preferisce invece evitare di riprenderne la trattazione,
combattendo così a suo modo la battaglia per il progresso
e l'emancipazione dei ceti popolari.
Il contenuto del capitolo relativo alle feste è quasi
interamente riconfluito nel presente volume, fatta eccezione
per i riferimenti alle consuetudini celebrative per san Giuseppe,
per l'Ascensione, per l'Assunta e per santa Lucia, che qui
per completezza riproduciamo:
Ma l'usanza più bella e più caratteristica è
la così detta tavolata di S. Giuseppe, che si fa il
giorno della festa. Si scelgono tre poveri di buoni costumi
e timorati di Dio, cioè un uomo in età avanzata,
una donzella nubile e un bambino di tre o quattro anni, che
rappresentano S. Giuseppe, Maria Vergine e il bambino Gesù,
e sono vestiti secondo i costumi di questi. La mattina della
festa si riuniscono nella casa ove si deve fare la tavolata
e di là si recano insieme alla chiesa di S. Giuseppe,
accompagnati da molte persone. Ivi assistono alle sacre funzioni
e quindi nello stesso modo ritornano donde sono partiti. Qui
avviene una cerimonia commovente. La porta si trova chiusa,
S. Giuseppe bussa col bastone tre volte e di dentro gli si
risponde: Cu è? - Un poviru passaggeri. -Itivinni
a nautra banna, ccà nun è Iucanna! Allora
S. Giuseppe se ne va con Maria e Gesù e, dopo aver
fatto tre passi, ritorna indietro, bussa altre volte e si
ripete lo stesso dialogo. Questa volta S. Giuseppe si allontana
scoraggiato, ma il bambino Gesù gli dice: Iamu
ni chista divutedda, ci dicemu ca sema Gesù, Giuseppe
e Maria e idda ni aprì, e S. Giuseppe ritorna
a bussare la terza volta. Alla domanda: Cu è? Il bambino
Gesù risponde: Gesù, Giuseppe e Maria!
Allora si spalanca subito la porta, e questi entrano e siedono
attorno ad una tavola imbandita, che viene benedetta dal prete
prima di cominciare il pranzo. Poi i sacri personaggi cominciano
a mangiare le varie pietanze. Finito il pranzo, Gesù,
Giuseppe e Maria girano pel paese e infine ritornano alle
proprie case.
Nel giorno dell'Ascensione vi è da tempo remotissimo
l'usanza che tutti gli animali, equini, bovini e ovini, sono
condotti alla chiesa dei Cappuccini fuori l'abitato, ove si
trova un prete in cotta e stola che li benedice. Anticamente,
quando vi erano i monaci, questa usanza era pittoresca. I
caprai vi andavano coi loro costumi di pelle, le pecore e
le capre ornate di variopinti nastri e portavano al collo
molte campane, che facevano un gran frastuono, i cavalli e
gli animali da soma vi andavano elegantemente bardati e cavalcati
dai loro padroni, vestiti anch'essi a festa. Le strade del
paese e lo stradale dei Cappuccini, ove passavano i detti
animali, erano gremiti di molto popolo che guardava quello
spettacolo. Per antica consuetudine i caprai e i boari mungevano
alcuni dei loro animali e il latte raccolto era tanto che
veniva dai monaci trasformato in cacio.
Nella prima quindicina di agosto esiste ancora la cantata
delle Madonnuzze, che precede la festa dell'Assunta.
Fino a poco tempo addietro in ogni strada, in ogni vicolo,
in ogni cortile si raccoglievano le donne, specialmente giovani,
del vicinato e cantavano su diversi toni delle canzoncine
in onore dell'Assunta.
Accenno infine ad un'altra usanza di questo paese, che esiste
anche in tanti altri. Ogni anno per la festa di S. Lucia il
popolo si astiene dal mangiare pane e pasta per devozione
alla Santa, che esso intende propiziarsi per essere liberato
dalle malattie agli occhi, e si nutre ordinariamente della
così detta cuccia [grano bollito e variamente condito],
che per una credenza popolare era il cibo prediletto da S.
Lucia quando era vivente.
Il generale plauso riscosso dal volume dedicato a Ciminna
risultò di stimolo al proseguimento delle ricerchei
storico-etno-grafiche. Tra il 1912e il 1917 Graziano pubblica
infatti ben dieci articoli su La Siciliana (1912a,
1912b, 1913a, 1913b, 1915b) e su Sicania (1914, 1915a,
1915c, 1917a, 1917b), poi destinati a costituire il nucleo
di Canti e leggende,
usi e costumi di Ciminna.
Le due parti che compongono questo testo rispecchiano l'opposizione
tra sacro e profano. Nella prima sezione si trattano le etimologie
toponomastiche, il blasone popolare (cioè il repertorio
di motti e ingiurie che si scambiano gli abitanti di località
diverse), i proverbi, gli usi collegati al ciclo della vita
umana (dalla nascita alla morte) e a certe cadenze calendariali
come il Natale e il Carnevale, i mestieri "di altri tempi"
(coltivazione della vite e produzione del vino, lavorazione
dell'argilla, concia delle pelli, raccolta del legno, conduzione
dei muli, coltivazione e lavorazione del lino), le leggende
(su "tesori nascosti" e "fiere incantate")
e i canti profani. La seconda sezione riguarda invece le principali
feste religiose, le sacre rappresentazioni del passato, la
storia delle confraternite, le leggende e i canti sacri.
L'indagine etnografica di Graziano è condotta su tre
piani: a) le testimonianze d'archivio; b) le memorie personali
e della collettività; e) l'osservazione diretta di
eventi e comportamenti. Sorprende tuttavia che da questa trama
intessuta fra passato e presente risultino quasi totalmente
escluse le tradizioni pastorali e contadine che hanno fortemente
caratterizzato la realtà socioeconomica di Ciminna
almeno fino agli Cinquanta del XX secolo. Sembra quasi che
Graziano abbia inteso esorcizzare, rifugiandosi nel passato,
una realtà inevitabilmente segnata dalla fatica e,
spesso, dalla miseria, finendo così per ignorare il
ricchissimo patrimonio di tradizioni orali (si pensi anche
solo ai canti e alle preghiere che scandivano i cicli agrari)
e di tecniche caratterizzanti l'ambiente agro-pastorale.
Se questo si può considerare un limite documentario
dell'opera di Graziano, numerosi sono viceversa i meriti.
Grazie alla suay ordinata ed efficace esposizione è
infatti possibile recuperare innumerevoli attestazioni sulla
vita popolare Ciminnese tra Ottocento e primo Novecento, spesso
corredate da suggestive tavole fotografiche (e qui varrebbe
la pena appurare l'esistenza di un più ampio repertorio
di immagini ai fini di una eventuale edizione). In alcuni
casi si tratta di testimonianze peculiari e importanti per
una ricomposizione del quadro etnografico siciliano (le note
elaborate da Graziano sono sempre finalizzate a un confronto
con la letteratura demologica relativa alla Sicilia e specialmente
con i testi di Pitrè). Così è a esempio
per certi particolari rituali effettuati per ricevere grazie
o conoscere gli eventi futuri, come erano i viaggi alla chiesa
dei Cappuccini: durante il percorso, ripetuto per nove giorni,
si recitava il rosario delle anime dei "corpi decollati"
e si interpretavano - in senso positivo o negativo - i suoni
uditi lungo la strada (cfr. pp. 123-124). Molto interessante
è anche la testimonianza relativa all'usanza della
"Vecchia di Natale", già in declino quando
scriveva Graziano: nei giorni della novena gruppi di bambini
percorrevano le vie del paese provocando un gran frastuono
con trombe di conchiglia, corni, contenitori di latta, campanacci
e grida (cfr. pp. 28-29). Esemplari sono poi le descrizioni
dei riti della Settimana Santa e della festa del SS. Crocifisso.
In quest'ultima i Ciminnesi potranno riconoscere numerosi
elementi tuttora vitali nella loro pratica festiva: dalla
processione delle "torce" a quella della sacra immagine,
dal vorticare della rètina dei muli davanti alla chiesa
di San Giovanni Battista alle prolungate invocazioni gridate
a voce spiegata dai fedeli (cfr. pp. 73-78).
Dopo la pubblicazione di Canti e leggende, usi e costumi di
Ciminna, Graziano volge il suo sguardo di folklorista esclusivamente
ai proverbi, dando alle stampe nel 1938 il volume Proverbi
siciliani illustrati e confrontati con quelli della Sacra
Bibbia e lasciando due quaderni manoscritti comprendenti una
raccolta inedita (anche questo materiale andrebbe individuato
e ripresentato in forma unitaria). L'interesse per la paremiologia,
specialmente secondo l'enunciata prospettiva comparativa (peraltro
modellata sul lavoro di Pitrè), va inquadrata entro
la propensione pedagogica dell'Autore, impegnato a dare una
visione positiva del folklore, ovvero dell'apprezzabile stato
culturale e spirituale del popolo siciliano in generale e
Ciminnese in particolare. È qui soprattutto che emerge
la tensione regionalistica o, se si preferisce, l'affermazione
di una identità locale, come già compiutamente
evidenziato nello scritto del 1934: «I proverbi sono
la sapienza del popolo acquistata col decorso di tanti secoli
e di tante generazioni, il codice comune a cui attingono tutti
e tutti uniformano la propria condotta. Il popolo crede ai
proverbi, come a verità infallibili: lu muttu anticu
nunpòfalliri ed egli non s'inganna, perché i
suoi proverbi trovano riscontro in quelli della sacra scrittura,
nella sapienza umana e nei detti degli uomini illustri. Ogni
regione ha i suoi proverbi e la Sicilia ne possiede la raccolta
più abbondante che abbia qualunque altra letteratura,
poiché il Pitrè nei suoi quattro volumi dei
proverbi siciliani ne raccolse ben quattordicimila, che meglio
di tutte le altre testimonianze rilevano l'indole del popolo»
(cfr. p. 19).
Il medico-etnografo Vito Graziano termina così il suo
itinerario tra la polvere degli archivi e i volti dei paesani,
lasciando in ogni caso una testimonianza preziosa e insostituibile
per i Ciminnesi di oggi. In tempi di globalizzazione - culturale,
sociale, economica - non è male ripercorrere i sentieri
della memoria e tentare di comprendere la natura del filo
che ci lega al passato, non per trovare rifugio in una rassicurante
dimensione nostalgica ma per assumere una più critica
consapevolezza della nostra identità di uomini di questo
tempo.
SERGIO BONANZINGA
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