1.
Difficoltà di conoscere le origini delle città e dei paesi
antichi.
La
prima quistione, che si presenta nella storia di un paese, è
certamente quella dell'origine. Ma non sempre essa si può risolvere
con certezza, poiché la maggior parte de' paesi hanno le loro
origini avvolte nelle oscurità del passato. La mancanza di documenti
scritti nei tempi preistorici e la scarsezza di quelli pervenuti fino
a noi dalle prime epoche della civiltà spiegano quello che io
ho sopra affermato. Anticamente gli scrittori delle storie erano pochi,
e la maggior parte dei loro libri andarono perduti, con irreparabile
perdita della scienza. Le difficoltà aumentano pei piccoli paesi,
che avevano rare occasioni di essere tramandati alla posterità.Quindi
ora nelle ricerche siamo spesso costretti ad affidarci ad altri documenti
e camminare di congettura in congettura, per giungere a risultati,
che non sono sempre assolutamente certi. In queste condizioni ho cercato,
per quanto debolmente ho potuto, d'indagare l'origine del mio paese,
ed ora espongo le notizie da me raccolte.
2.
Etimologia di Ciminna.
La prima ricerca che suole farsi nella storia di un
paese è l'etimologia del suo nome, che ha spesso gettato molta
luce nei casi, in cui la storia non ha potuto farlo per mancanza di documenti.
Or volendo cercare l'origine della parola «Ciminna», sembra
che essa sia proveniente dalli lingua araba, dove si trova l'aggettivo
soemìn. che significa « pingue, grasso » parlandosi
di terreno e nel femminile scemìna(t), che dal popolo si
pronunzia soemìna. Questo significato della voce araba troverebbe
la sua spiegazione nel la fertilità del suolo, che fu dimostrata
nel primo capitele e meritò al Comune il titolo di ubertoso.
Ma come si potrebbe
spiegare il passaggio della sin in c? Ciò è
facile comprendere quando si osserva che il suonc della lettera araba
è dolce e sibilante ed è simile a quella della c siciliana,
la quale sta fra il suono della e italiana e quello del digramma
ch francese. Né questo passaggio è rare nelle
voci arabe, entrate nel nostro dialetto, così per es dall'arabo
sumlat o samalat, che significa « poca acqua »
si è formata la parola sciamula, che vuoi dire «
cavità della pietra dove risiede l'acqua »; da sifr
« vuoto, nulla, zero » si è fatte cifra «segno
numerale»; da sàtir yà ma tara «oh Dio
che vedi » pare sia venuta l'espressione di meraviglia sciàtira
e màtara. In questo poi al passaggio dell'a araba
in e e queste in i siciliana, si può dire che
esso è un fatto glottologico co munissimo, specialmente quando
le dette vocali non sono seguite dall'alef, né dall'uà
né dall'yà, e s'incontra quasi ad ogni voce di quelle
raccolte nel vocabolario etimologico: « Le fonti arabiche nel
dialetto siciliano del P. Gabriele e G. M. Calvaruso » 1
di cui si è pubblicata la prima parte «Etimologie lessicali».2
S'è vera,
come pare, l'origine araba della parola Ciminna, ne seguirebbe che
il Comune esisteva anche sotto i dominio musulmano in Sicilia, e questo
viene dimostrato an che, come si dirà in seguito, da documenti
storici. Ma potrebbe anche darsi che esso preesistesse e avesse poi
cambiato il nome, come avvenne per tanti altri paesi. Questa seconda
ipotesi parrebbe confermata dalla testimonianza del Fazzello, il quale,
parlando di Ciminna, la chiamò novi nominis oppidum3.
Quale fosse stato, nella seconda ipotesi, il nome primitivo del
paese non si conosce allo stato attuale e forse si deve cercare in
quello di qualche antica città, di cui finora si sconosce il
sito.
1.
Debbo alla cortesia del Sig. G. M. Calvaruso la suddetta spiegazioni
etimologica
2. L'intera opera conterrà altre due parti, che tratteranno
delle etimo gie toponomastiche ed onomastiche, e formerà una
preziosa raccolta di tutti le voci siciliane derivate dalla lingua
araba
3. Deca I, cap. II, p. 230, Palermo 1758.
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3.
Avanzi di antiche abitazioni nella contrada Cemuta.
Alla distanza
di un chilometro circa da Ciminna, nella direzione di sud-est, s'incontra
una contrada chiamata Cemuta e anticamente Scenduta pel declivio che
presenta il suolo. Ivi la costante tradizione del popolo crede con
certezza che sia stata Ciminna nell'epoca antica. Questa tradizione,
mantenuta viva fino ad oggi, viene confermata dagli avanzi, che la
coltivazione del terreno non ha ancora interamente distrutti. Infatti
lungo la trazzera principale, che attraversa la detta contrada e precisamente
a destra di chi la salisce, cominciando dal luogo detto Sagramentello
sino alla fontana pubblica, che è poco distante dalla detta
trazzera, s'osservano molti rottami di creta cotta, pietre provenienti
da antiche fabbriche e in alcuni siti non poche basi di muri, che
fanno conoscere la grandezza e la forma delle case. Nella detta fontana
si riuniscono diversi condotti in calce, che si credono opera antichissima.
Ma vi è di più. A breve distanza dalla detta trazzera,
in corrispondenza della fontana che ho sopra accennata, nel 1886
fu scoperto un mosaico, esteso da un lato per circa m. 7 e dall'altro
m. 4. A questo punto i lavori, eseguiti per iniziativa privata del
Sacerdote Vito Leto, furono abbandonati, né sono stati più
ripresi. I disegni, che dava la parte meno devastata, rispondevano
a quegli stessi del grande mosaico scoperto pochi anni prima nella
campagna di Carini e a quello scoperto nel 1838 nella cripta di S.
Elena in Roma. Il Prof. Vincenzo Di Giovanni, occupandosi dei detti
scavi, in seno alla Società di Storia Patria nella seduta del
14 novembre 1886,4 reputò
che si trattasse di una basilica cristiana, essendo anche fra i tondi
e i quadretti venuto fuori un uccello sopra un ramo, che aveva fiori
e campanelle, così come si vedono in altri mosaici cristiani
del IV e V secolo. Fu scoperta pure una tomba contenente molte ossa
umane
Il Prof. Di Giovanni
nella detta seduta rilevò l'importanza di quella scoperta,
che fa certa, secondo lui, l'esistenza di Ciminna prima dell'epoca
musulmana, e conchiuse interessando la Società per la continuazione
degli scavi e la conservazione di tutto quello che sino allora si
era scoperto. Egli interessò nuovamente la detta Società
nella seduta del 13 febbraio 1887,5
ma neppure questa volta, quantunque fosse stata riconosciuta l'importanza
di quelle scoperte, ottenne alcuna cosa.Da quanto ho sopra riferito
non può restare alcun dubbio che quel luogo sia stato abitato;
ma ciò può provarsi anche con documenti storici, che
non si possono riferire all'attuale paese, perché, come sarà
in appresso dimostrato, esso allora non esisteva.In un diploma scritto
in greco nel 1098 e conservato nell'Archivio della cattedrale di Palermo6
si dice che il conte Ruggiero, conquistata oramai tutta quanta l'isola
di Sicilia, volendo ristabilire i tempi di Dio rovinati dagli «
Atei Agareni » e trovando il Monastero di S. Maria di Boico
(Vicari) dedito al culto divino e pregante pel trionfo della cristianità,
donò a Iacopo, abate dello stesso, terre, animali e servi in
Boico, Ciminna, Scopello, Patterano e Garciniene. Ma vi è
di più. In un altro diploma
posteriore, scritto pure in greco nel 1123 e conservato nel R. Archivio
di Stato di Palermo,7 si dice,
in riassunto, questo: il conte Ruggiero, dimorando in Palermo, assistito
da Cristodulo Protonobilissimo ed Ammirato, fatta debita inquisizione,
dirime una quistione insorta tra Bumadari figlio di Patterano coi
suoi fratelli da una parte, e Monella dei Patterani dall'altra, circa
al diritto sopra un molino sito sul fiume Sulla tra Librizzi e Ciminna,
confermando la detta Monella nel possesso di esso molino. Le persone
mandate dalla Moriella a far valere le sue ragioni, dicono che questo
molino era stato costruito e posseduto da Giosperto prima della ripresa
di Ciminna8 e della strage
dei feudatari ed esibiscono un atto in saracenico, che vien letto
dal Cadì di Palermo, col quale si dimostra che gli uomini della
detta Moriella avevano comprato il molino medesimo da Ibu Nasach di
Palermo.
Nel
diploma si accenna evidentemente ad un fatto d'armi, avvenuto sia
a sostegno della buona causa sia per opera di ribalderia e di tradimento.
Vi fu strage di persone, che il Cusa chiama feudatari e lo Spata Terreri,
i quali furono una famiglia che sembra abbia rappresentato una parte
nella conquista normanna. Ma, stando al testo originale tgjv tsq-qkq'hqv,
può intendersi anche, secondo alcuni, per terrazzani. Nel
senso inteso dallo Spata risulterebbe che Ciminna fu terra feudale
sin dalla conquista normanna. Dal contesto dello stesso diploma risulta
anche che gli Anziani, o autorità municipali di Ciminna, erano
nominati a mo' di corporazione FeQovsia ed esercitavano l'uffizio
di giurati nelle cause di confini e di proprietà rurali.9
A provare meglio
l'esistenza di Ciminna in quel tempo, accenno ad un atto greco-arabo
del 26 agosto 1176. In esso Eugenio, segreto della Doana, descrisse
e assegnò i confini del feudo della Charsa, e a tale uopo fece
riunire nel luogo, dove era la quistione, gli Anziani (senes de
regimine} delle Terre circostanti, fra le quali è citata
quella di Ciminna.10Ma quando questa sia sorta non si sa;
però dagli avanzi del mosaico sopra descritto e dall'assenza
di documenti appartenenti all'epoca greco-romana, è da supporre
che sia sorta nell'epoca bizantina. Si ritrova con certezza nell'epoca
musulmana, poiché, come si è detto, fu presa d'assalto,
e par che sia scomparsa nell'epoca normanna verso la fine del secolo
XII. Per le vicende subite nella detta epoca essa dovette deperire,
finché venne poi abbandonata. Ma notizie più sicure
si potranno forse avere, se e quando a spese del Governo saranno ripresi
gli scavi, di cui ho parlato più sopra. Ciò è
sperabile per l'interessamento dell'illustre Prof. Salinas, che diverse
volte ha visitato quella località.
4.
« Archivio Stor. Sic. », a. XI, p. 527, Palermo 1886.
5.
« Archivio Stor. Sic. », a. XII, p. 160, Palermo 1887.
6.
Questo diploma è riportato nel testo greco da Salvatore Costa,
J diplomi greci ed arabi di Sicilia, pubblicati nel testo
originale, Palermo 1868, p. 4 e seg.
7.
Questo diploma è riportato nel testo greco nella citata opera
del Cusa a pp. 471 e 472, e nella traduzione italiana anche nell'opera
di Giuseppe Spata, Pergamene greche esistenti nel grande Archivio
di Palermo, Palermo 1861, p. 410.
8.
A poca distanza dal luogo, ove era l'antica Ciminna, esiste una
fontana chiamata del Re, ove si dice che Ruggiero abbia bevuto,
e le contrade vicine si chiamano Ruggiero e Contessa. Tali nomi
sembrano avere relazione coi fatti acennati in questo luogo
.9.
Michele Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, vol. III,
parte I, Firenze 1868, pp. 284 e 285.
10.
Giuseppe Spata, Pergamene greche, Palermo 1861, pp. 453 e
454.
Top
4.
Nella contrada Pizzo
Questa contrada è a sud-est di Ciminna, da cui dista poco
più di due chilometri. Essa finisce in una sommità
a picco, ch'è 805 metri sul livello del mare ed è la
più alta di tutto il territorio. Nella parte più elevata
esistono avanzi d'antiche abitazioni. Infatti si sono trovati molti
rottami di creta cotta, pietre provenienti da fabbriche, monete antiche
e molti oggetti di ceramica, alcuni dei quali verniciati in nero
e consistenti in figurine di varie forme e dimensioni, che servivano
per culto e per adorni, scodelle, lampade e molti vasi, dei quali
se ne conserva uno d'enorme dimensione per uso di serbare acqua nella
casa del Signor Caeti Pietro fu Porfilio. Esso misura all'esterno
una circonferenza di m. 4 e un'altezza di m. 1. Pochi anni addietro
se ne trovarono in tale quantità da far supporre ivi l'esistenza
di forni, i quali dimostrano, ancora una volta, che in Sicilia esistevano
fabbriche, con propri artefici
ed operai, per lavori di ceramica,come mattoni, lampade, ornati architettonici,
rilievi e figurine.
Moltissimi dei detti avanzi andarono perduti nellemani di
contadini ignoranti, ma alcuni sono stati acquistati dal Museo Nazionale
di Palermo e da quello Comunale di Termini. In quest'ultimo esistono
alcuni vasi fittili, cioè un cratere, due gutti, un orcio
a vernice nera, ed altro vaso con coperchio, ornato con pittura di
due teste muliebri in fondo nero, nello stile delle fabbriche ruvestine.
Si trovarono insieme con altri frammenti fittili e con resti di ossa
umane. 11 Tali oggetti furono
dichiarati come provenienti da un fondo denominato Portella del Gallo,
contrada di S. Caterina verso sud-ovest, alla distanza di un chilometro
circa dall'abitato; ma ciò non sembra verosimile, poiché
Portella del Gallo e S. Caterina sono due contrade diverse e lontane
fra loro, distano molto più di un chilometro e non sono ad
ovest del paese. Perciò ritengo che essi provengono dalla
contrada Pizzo, ove si trovano simili oggetti.
Anche ora, coltivando
il terreno, si trovano di tali avanzi; ma ad evitare per l'avvenire
che essi vadano dispersi o finiscano nei musei di altre città,
sarebbe ottima cosa che il Comune formasse un piccolo museo per raccogliere
gli oggetti antichi di tutto il territorio e le opere d'arte, che
per la cattiva manutenzione e l'incuria di chi ne ha il dovere son
destinate a perdersi. Chi non vede l'utilità che ne verrebbe
alla storia locale e al decoro del paese? Né la spesa sarebbe
superiore alle risorse del bilancio comunale, se il museo si aggregasse
alla biblioteca, della quale parlerò in seguito. Ma
ritornando a quello che ho detto, sorge spontanea la domanda: «A
quale epoca rimontano quelle abitazioni»? Per rispondere a questo
non si conosce alcun documento scritto, e quindi bisogna affidarsi
ai sudetti avanzi. Que; appartengono all'epoca greco-romana, e quindi
è da suppc re che esse siano esistite in quei tempi.
Sembra che il
detto abitato sia scomparso in questa s conda epoca, perché
non si trovano avanzi di tempi post riori; ma non si può affatto
stabilire quando sia sorto. P l'altezza del luogo (m. 805 sul
livello del mare) e per difficoltà di accedervi si presta molto
bene alla difesa, e qui di può essere stato scelto per abitazione
dai popoli più antichi, che vennero in Sicilia. Ivi esiste
la grotta dei Saraceni che ora è diventata di difficile accesso
e non è stata scienficamente esplorata; ma coloro che l'hanno
visitata dicono di avervi trovato molte ossa umane. Se ciò
è vero, è probabile che quel luogo sia stato abitato
sin dai tempi preistorici. Comunque sia, è certo che le abitazioni
sorte in questa contrada sono più antiche di quelle descritte
nella contrada Cemuta, dalle quali distano qualche chilometro circa;
ed credo che queste ultime siano state scelte per l'esistenza della
sorgiva d'acqua, che anticamente doveva essere più abbondante
di oggi, per la fertilità del suolo e per il clima temperato.
11. Notizie degli scavi di antichità
comunicate alla R. Accademia dei Lincei, anno 1878, p. 383.
Top
5.
Nella contrada Cassone.
Alla distanza di qualche chilometro circa dall'attule paese, nella
direzione di sud, in una contrada denomina Cassone, si trovano altri
avanzi d'antiche abitazioni. Essi trovano precisamente a sinistra
di chi salisce la trazzera principale della contrada, un po' al di
sotto del pozzo d'acqua ch'è proprietà comunale. In
una zona di terreno, estesa e ca due ettari, si vedono molti rottami
di creta cotta e qualche sito alcune basi di muri antichi. Il nome
della contrada fa sospettare che i detti avanzi appartengano all'anti
Hasù, che nella geografia di Edrisi, scritta per il Re Ruggiero
e resa pubblica nel cominciare del 1154, è così descritti
« Fra Cefalà, nominata dianzi, e Hasù son
due miglia fra che, ed altre due simili da Hasù a Vicari. Hasù
è casa nel cui territorio si fa di molte seminagioni, e si
raccolgoi varie specie di produzioni, massime granaglìe e civaie.
M. Amari nella
sua Biblioteca arabo-sicula, voi. 1° pag. 89, Torino e
Roma 1880, riportando le parole sopra riferite, aggiunge in nota:
« La voce Hasù non è arabica. Occorre nel diploma
del 1182, presso Cusa, op. cit., pag. 196 e 231, dove la versione
latina ha Chasum e il sito non pare lontano da quello che indica Edrisi
e che tornerebbe all'odierno Comune di Ciminna ». E in una altra
nota della sua Storia dei Musulmani di Sicilia, voi. Ili, pag.
776, egli cita Kassu fra' grossi paesi scomparsi nell'epoca normanna
e aggiunge: « Nel sito di Kassu, o non lungi, è sorta
Ciminna». È vero che questa si trova in una posizione
intermedia tra Vicari e Cefalà, ma l'identificazione di M.
Amari non sembra accettabile, poiché ai tempi d'Edrisi Ciminna
esisteva con questo nome, e quindi non poteva confordersi con Kassu.
Ma vi è di più. Nel diploma del 1182, col quale Guglielmo
II dotava la chiesa di Monreale sul confine della magna divisa di
Corleone, è ricordato il casale Chasum, nelle vicinanze di
Busammara « et mons Zuzara ex australi parte et occidentali
pertinet ad Chasum, et vadit per summitatem montis et descendit ad
Kalabusamara; et ipsa Kala est in divisa Coriolionis».12
E se infine si riflette che gli avanzi, osservati oggi nella contrada
Cassone, non sono tali da far supporre un grosso paese, qual'era Chasu,
non può restare più alcun dubbio su quello che ho detto
sopra. Il Prof. Salvatore Raccuglia, nella sua storia delle città
di Sicilia, parlando di Mezzoiuso, opina che quel casale sia stato
in una località dell'attuale territorio di detto Comune, chiamato
Pizzo di casi. Ma a qual paese appartennero gli avanzi esistenti nella
contrada Cassone? Essi distano mezzo chilometro circa da quelli descritti
nella contrada Gemuta, e perciò appartengono forse a qualche
sobborgo dell'antica Ciminna. Questo sospetto viene in qualche modo
confermato dalle tracce di due antichi condotti di creta cotta provenienti,
uno dalla contrada Cernuta e l'altro dalla contrada Cassone. Essi
conducevano nel Comune attuale le acque di quelle sorgive che servirono
anticamente all'uso di quegli abitanti, che si erano raccolti nel
nuovo paese, come in seguito dirò meglio.
12. cusa, Diplomi greci ed arabi di Sicilia, Palermo
1868, voi. I, p. 179.
Top
6.
Nella contrada S. Pantaleo.
Questa contrada è a nord di Ciminna, da cui dista due chilometri
circa. Salendo la trazzera principale della detta contrada, prima
d'incontrare la via rotabile, si osservano a destra gli avanzi dell'antica
chiesa di S. Pantaleone, della quale parlerò in appresso. Cominciando
da questa fin sopra la detta via rotabile si vedono tracce evidenti
di antiche abitazioni, che consistono in rottami di creta cotta provenienti
da canali, mattoni e vasi, in pietre di fabbriche e diverse basi di
muri antichi. Pochi anni addietro certo Vito Graziano inteso Ventura,
nell'intaglio praticato per la costruzione della detta via rotabile,
trovò, a poca profondità dal suolo, un gran vaso, che
portava incisa la data « 1210 ». Esso non è verniciato
e misura l'altezza totale di m. 0,85 con una circonferenza,
nella parte media, di m. 0,98; ha due manichi e nella parte inferiore
finisce a punta. Oltre al detto vaso, negli scavi fatti per la costruzione
della via rotabile, verso il 1870, ne furono trovati altri, alcune
lampade e diverse tombe contenenti ossa umana.Ma qual'era il nome
di questo casale? Nella Sicilia Sacra del Pirri, pubblicata
in Palermo nel 1733, al tom. II, pag. 1296, si legge che a 9 novembre
II ind. 1178 Guglielmo, Re di Sicilia, concesse all'abbazia di Santo
Spirito di Palermo la chiesa di S. Pantaleone colle pertinenze del
casale Gallo Rebalsuat. Il documento non dice il luogo, dove questo
sia stato, né finora esistono altre prove che l'indichino con
precisione. M. Amari, 13 parlando
del detto casale, dice che era presso Palermo e richiama il documento
del 1178,da me accennato. Ma si mostra incerto del sito, perché
subito aggiunge: «Forse è lo stesso che il casale Gallo,
il quale era presso il capo dello stesso nome». 14
Ma la diversità risulta dalla parola aggiunta Rebalsuat, e
perciò furono due casali. Or non sapendosi il luogo dove uno
di essi sia stato, è probabile che gli avanzi osservati nella
contrada S. Pantalco appartengano al casale Gallo Rebalsuat, donato
al-PAb. di Santo Spirito colla vicina chiesa di S. Pantaleone. Per
mancanza di documenti non possiamo dire quando il detto casale sia
sorto; 15 ma è
certo che esso esisteva nel secolo XII, pare che sia scomparso nell'epoca
normanna ed i suoi abitanti abbiano popolato l'attuale paese di Ciminna.
Ciò sembra verosimile per la vicinanza del luogo e per l'esistenza
dell'antico condotto di creta cotta, che conduceva l'acqua di S. Pantaleo
nel sottostante burrone, e di là, nel 1869, portata dentro
l'abitato.
13. Carte Comparée de la Siale
moderne avec la Stelle au XII siede, Index topographique de la Sicile
au moyen age, Paris 1859.
14.
Questo casale è citato in un diploma del 1086, col quale il
Duca Rug-gieri, figlio di Roberto Guiscardo, concesse il casale Gallo
con quattro villani presso Misilmeri ad Alcherio are. di Palermo e
in un altro diploma del 20 agosto 1270, col quale si conferma la detta
donazione e si dice espressamente che il casale era situato nel territorio
palermitano.
15.
A brevissima distanza dal detto casale, verso ovest, si trovano tre
tombe a forno, incavate nella parete verticale di una roccia, che guarda
a nord-est. Ogni tomba contiene due escavazioni orizzontali, delle
quali quattro furono costruite per adulti e due per giovani, misurando
queste ultime la lunghezza di m. 1.15. La presenza delle sudette tombe,
benché poche di numero, fa supporre in quella località
l'esistenza di abitazioni in tempi antichissimi.
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7.
Nella contrada S. Nicolo.
In una contrada,
chiamata S. Nicolo e volgarmente Matritunnu, esistono numerosi
avanzi di antiche abitazioni. Essi consistono in rottami di creta
sparsi sul suolo e in molte tombe che contenevano ossa umane. A
poca distanza dalla sorgiva, che prende il nome dalla contrada,
si son trovate, zappando il terreno, molte tombe costruite con
pietre intagliate e contenenti ossa umane. La coltura del suolo
ha fatto scomparire nella superficie le tracce delle dette tombe,
ma, scavando nel sottosuolo, se ne trovano tuttora.
Scendendo dal detto luogo verso la
parte inferiore della stessa contrada S. Nicolo s'incontrano sempre
dei rottami di creta cotta; e nel sito, dove a brevissima distanza
il terreno s'avvalla a picco, per un'antica frana, verso il torrente
sottostante, si vedono ancora alla superficie una ventina di tombe
incavate sui massi del suolo, di diverse dimensioni e contigue fra
loro. Esse contenevano certamente scheletri umani, che coll'andar
del tempo andarono dispersi, e insieme con quelle sopradette fanno
credere all'esistenza di un centro abitato.Per quanto riguarda l'epoca
in cui esso esisteva, nulla di certo si conosce; ma si può
cercare qualche luce nell'etimologia del nome popolare della contrada,
che sembra d'origine araba. Infatti Matritunnu, secondo lo stesso
Sig. Calvaruso, fonicamente somiglia moltissimo all'arabo moedoer
«villaggio, borgata » e dùn «
basso, inferiore, vile » e quindi villaggio sottostante, che
corrispondeva precisamente alla sua posizione topografica rispetto
al vicino monte. Quindi sembra che non questo, come parrebbe a prima
vista, ma il villaggio abbia dato il nome alla contrada.Secondo questa
etimologia, pare che il villaggio sia esistito nell'epoca musulmana
e forse sia scomparso in quella normanna, per la formazione del nuovo
paese che cominciava a sorgere.
16.
Nello studio degli antichi avanzi, descritti in questo capitolo,
mi fu assai utile il Sig. Piraino Giuseppe da Ciminna, per la
conoscenza topografica ch'egli possiede di tutto il territorio.
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