1.
Ciminna fu sempre Terra feudale.
Ciminna fu sempre Terra feudale,
e i suoi baroni goderono il mero e misto impero, come appare dall'investitura
fatta nel 1453 a Guglielmo Moncada per sé e suoi successori.
Villabianca,1 parlando
di Ciminna nella sua Sicilia nobile, la chiamò Terra baronale
col mero e misto impero; e Sacco2
nel suo Dizionario Geografico disse: «E una tal Signoria
col mero e misto impero è tuttora presso l'illustre casa
Grifeo ». Ai signori di Ciminna competeva il X posto nel
Parlamento siciliano e commettevasi pieno potere d'armi. Essi
sceglievano ogni anno i magistrati, che ne amministravano i diritti.
La milizia comunale era composta di 5 cavalieri e 54 fanti e dipendeva
dal comando di Termini.3
1.
Della Sicilia nobile, voi. II, II parte, lib. II, Palermo 1767,
p. 55.
2. Tomo II, Palermo 1799, p. 182.
3. VITO AMICO, op. cit., in nota
a p. 6.
2.
Signori che ebbero il detto dominio.
I primi signori feudali della
Terra di Ciminna furono i Terreri, la cui famiglia rappresentò
una parte nella conquista normanna. Secondo il diploma del 1123,
da me accennato a pag. 30, essi furono uccisi in un fatto d'armi,
di cui s'ignora la causa. Si ritiene che in seguito Ciminna sia
stata concessa in feudo ad altri signori, perché non comparì
mai fra le Terre demaniali. Infatti in due elenchi dei castelli
regii, uno del 3 maggio 1272 e l'altro del 6 agosto 1278, non
si trova il suo nome. Secondo il Mugnos (Teatro genealogico delle
famiglie nobili in Sicilia, voi. Ili, pagine 417 e 418) Ruggiero
Spadafora, figlio di Enrico, che fu capo della famiglia Spadafora
in Palermo e nel 1136 ebbe concesso da Re Ruggiero Castellamare
di Palermo, fu signore di Ciminna, Vicari e Caltavuturo. Più
certa è la notizia esistente nel ruolo dei feudatari, compilato
nel 1296 sotto Federico II, volgarmente inteso III. Nel detto
ruolo si trova Nicolo Abbate detto il Miles, signore di Ciminna
e di altre terre, dalle quali ricavava la somma annua di onze
600: Nicolaus Abbas Miles prò Asinelio, Chijalà,
Carmorochis, Chiminnae, Trirasinis, Casali Cabis Cudis Inithi
une. 6004
Nel 1299 Ciminna era posseduta da Matteo di Termini, ribelle alla
casa d'Angiò, come si rileva dalla concessione fatta l'il
ottobre dello stesso anno dal duca Roberto, vicario di Carlo II,
a Virgilio Scordia da Catania, e ratificata dal suo sovrano con
altro diploma, dato in Napoli il 20 luglio del seguente anno.5
Però si deve ritenere che egli non ne sia venuto in possesso,
perché la Sicilia rimase in potere del partito aragonse;
è certo invece che essa in seguito fu posseduta da Matteo
Palazzi, ch'era pure conte di Noara e molto favorito di Re Pietro
II.6
Nel 1320 Ciminna era posseduta da Matteo Sclafani, come appare
dal censo fatto in quell'anno dal re Federico II di Aragona e
dopo lui venne in possesso di Guglielmo di Peralta. Giovanni Luca
Barberi7 disse che non
appariva alcun titolo, col quale fosse pervenuta a costui; ma
Vito Amico narra che la figlia di Matteo Sclafani e di Bartolomea
Incisa, per nome Luigia, nel 1333 fu data in moglie al detto di
Peralta, che in tal modo ne venne in possesso per dote.8
Questi nel 1369 la cambiò
con Guglielmo Ventimiglia per la Terra di Giuliana con atto del
26 maggio del detto anno, rogato presso il not. Antonio Durano
o Curano da Sciacca, e ratificato dal re Federico III con suo
privilegio dato in Corleone il 2 novembre 1371 9
e dal Re Martino I con privilegio dato in Catania il 10 settembre
1392. Guglielmo Ventimiglia fu Siniscalco del regno e mostrossi
egregio verso Martino I; e nel registro del medesimo principe
gli eredi di lui diconsi signori di Ciminna, che tennero per lungo
spazio di tempo e furono benemeriti di essa colla fondazione dell'ospedale.
Alla di lui morte successe il figlio Guglielmo, detto il giovane,
che nel 1408 fu notato nel servizio militare di re Martino; e
non lasciò eredi che una sola figlia per nome Isabella,
la quale prese a marito Giovanni Ventimiglia, marchese di Ceraci,
ed ebbe una sola figlia per nome Giovanna.
Questa sposò Guglielmo Moncada, che nell'anno 1453, insieme
colla moglie, ottenne dal viceré de Urrea la conferma e
l'investitura di questa Terra, colla condizione di prestare il
consueto militare servizio e colla concessione del mero e misto
impero.
La moglie del detto Moncada non ebbe da lui alcuna prole, e si
crede che essa sia andata in seconde nozze con altro individuo
della sua famiglia; poiché con atto del 12 giugno XII ind.
1479 presso il not. Gio. Pietro Grasso da Palermo, essa donò
la baronia e il castello di Ciminna al figlio legittimo e naturale
Giovanni Guglielmo Ventimiglia, che poi ne ottenne l'investitura
il 25 giugno dello stesso anno.
Alla morte di questo nel possesso di Ciminna successo il di lui
figlio Paolo Ventimiglia, che ne ottenne l'investitura a 26 maggio
1504. A lui successe nel 1517 Guglielmo V Ventimiglia, che sedò
in Palermo la cospirazione di Giovanni Luca Squarcialupo; poi
successe la di lui figlia Maria Ventimiglia, che ne ottenne l'investitura
a dì 11 maggio 1553. Essa sposò Simone Ventimiglia,
che come marito ne fu investito a 5 agosto 1557. Successe Giovanni
Ventimiglia, figlio di Maria, che ne ottenne l'investitura a 26
marzo 1586. A costui successe forse un Guglielmo Ventimiglia,
che lasciò una sola figlia per nome Antonia, la quale sposò
Mario
II Grifeo principe di Partanna, e portò in dote
la Terra di Ciminna. 10
In tal modo questa venne sotto il dominio dell'illustre famiglia
Grifeo e vi rimase fino al 1812, quando fu abolito il regime feudale.
A Mario II successe il figlio Guglielmo Grifeo, il quale sposò
Eleonora Bologna e donò la baronia di Ciminna al figlio
D. Mario, come risulta dagli atti del Protonotaro del Regno a
6 giugno 1620. Questi per le sue benemerenze fu eletto prima duca
di Ciminna, con privilegio dato in Madrid da Filippo IV a 11 luglio
XI ind. 1634; e da allora in poi i signori di Ciminna, non più
baroni, ma duchi furono detti. Egli fu pretore di Palermo nel
1647, vicario generale in Trapani e maestro di campo nella milizia
del regno, sposò Maria Ventimiglia ed Aragona e con atto
del 13 novembre 1641 presso il notar Domenico Grifeo, la cui investitura
avvenne nello stesso anno 1641. Egli fu capo dei nobili confrati
della Compagnia dei Bianchi di Palermo nel 1656, sposò
Elisabetta Marino ed ebbe a succesore il figlio Benedetto Grifeo,
che ottenne l'investitura il 16 settembre V ind. 1666. Questi
servì con 100 soldati suoi vassalli nella guerra di Messina,
a proprie spese; perciò nel 1680 ebbe da Sua Maestà
il mero e misto impero degli stati, sposò Giovanna Filingeri
e gli successe il figlio Girolamo Grifeo, come appare dall'investitura
speditagli l'il febbraio XV ind. 1692. Esso fu più volte
deputato del regno, governatore dei Bianchi nel 1705, capitano
di Palermo nel 1711 e pretore nel 1733, sposò Laura La
Grua, e gli successe il figlio Benedetto Maria Grifeo, il quale
ricevette l'investitura il 10 gennaio 1750. Fu governatore dei
Bianchi nel 1747 e capitano di Palermo nel 1749, sposò
Pellagna Statella ed ebbe a successore Girolamo Grifeo, che ottenne
l'investitura nel 1762, sposò Dorotea del Bosco e morì
nel 1800. Fu capitano nel 1771 e pretore nel 1782, gentiluomo
di camera di Sua Maestà e cavaliere dell'Ordine Gerosolimitano.
Successe a lui il figlio Benedetto Maria Grifeo, il quale sposò
Lucia Nigliaccio e fu l'ultimo duca di Ciminna
4. Sicilia nobilis, sive nomina,
et cognomina, Comitum. Earonum. et Feudatariorum Regni Siciliae,
Anno 1296, sub Friderico II, Vulgo III, p. 22.
5. Il detto diploma si conserva nel
R. Archivio di Napoli, registro di Carlo II segnato 1290-1300
e., f. 84 a t, ed è riportato da M. AMARI, La guerra del
Vespro siciliano, voi. II, Parigi 1843, p. 351.
6. VILLABIANCA, op. cit., in nota
a p. 80.
7. Capibrevium, f. 476-480.
8. V. AMICO,
op. di., in nota a p. 46.
9. Archivio
di Stato di Palermo, R. Cancelleria, voi. degli anni 1371-72 e
1373.
10. Il FAZZELLO,
op. cit., crede invece che a Guglielmo V sia successo un Girolamo
Ventimiglia, e a questo Guglielmo VI Ventimiglia, dal quale nacque
la detta Antonia.
3. Feudo di S.
Pantaleone
Sin dal secolo XII esisteva
la chiesa di S. Pantaleone, ora diruta, nella contrada omonima,
che oggi s'intende più comunemente col nome di S. Pantaleo.
Alla detta chiesa era annesso un feudo, di cui era investito il
beneficiale di essa. Il Capibrevio di G. Luca Barberi e l'inventario
dei processi d'investiture feudali dal 1452 al 1812 del Cav. Gaspare
Manzone, esistenti nell'Archivio di Stato in Palermo, non fanno
cenno del detto feudo; ma esso si trova menzionato in parecchi
documenti. In un atto di concessione enfiteutica, fatto da' baroni
D. Mariano e D. Beatrice Migliaccio il 24 dicembre 1574 presso
il not. Girolamo Santangelo da Palermo, si accenna, fra gli altri
confini al feudo di S. Pantaleo. Nelle lettere d'istituzione,
fatte dalla curia arcivescovile di Palermo il 3 ottobre II ind.
1588, per la nomina del beneficiale di detta chiesa, si parla
chiaramente del detto feudo. Oltre a questi documenti esistono
diversi atti pubblici, che ne convalidano l'esercizio del mero
e misto impero e saranno accennati parlando della chiesa di S.
Pantaleo.
Comunque sia, è certo che fin dal secolo XII la detta chiesa
possedeva una considerevole estensione di terreni, come risulta
dal diploma del 1178, col quale Guglielmo, Re di Sicilia, la concesse
all'abazia di S. Spirito di Palermo:
« Damus similiter, et concedimus praefatae Abbatiae
ecclesiam S.ti Pantaleonis, cum pertinentiis Casalis Galli Rebalsuat,
cum tenimento suo, etc. ».
Questo possesso durò
fino a poco tempo addietro, poiché i proprietari dei terreni
vicini alla chiesa di S. Pantaleone pagavano piccoli canoni, ora
prescritti, alla cappella del detto santo, esistente nella chiesa
di S. Giovanni Battista.
Col suddetto feudo confinava
quello del Feudaraso. Le origini di questo sono antichissime ed
incerte, G. Luca Barberi a pag. 293 del suo Capibrevio racconta
che il feudo, detto volgarmente Feudaraso, si possedeva da alcuni
antichi. Ma avendo Re Alfonso ordinata la revisione dei titoli
dei feudatari, certo Pino Spatafora della Terra di Ciminna si
presentò all'arcivescovo di Palermo, presidente del regno,
e giurò di non avere alcun titolo del detto feudo; ma,
avendone provato il possesso trentenne, ne ebbe per sé
e suoi eredi, nati da lui, la conferma e l'investitura il 28 settembre
II ind. 1453, notata nella R. Cancelleria del detto anno a pag.
660, e ciò ime francorum sub consueto milatari ser-vicio,
antiquis regaliis et Regiae Curiae iuribus semper salvis.
Morto il detto Pino, gli successe il primogenito Nicolo Spatafora
chierico, che ne ottenne l'investitura con gli stessi patti a
9 marzo V ind. 1456, notata nella R. Cancelleria del detto anno
a pag. 467. Egli rinunziò subito a favore del secondogenito
Alberto Spatafora, come risulta dagli atti contenuti nell'ufficio
del Protonotaro del Regno. Il detto Alberto ne ottenne l'investitura
il 24 aprile IX ind. 1456, notata nella R. Cancelleria a fog.
158.
Nel 1566 il feudo era posseduto da Filippo Spatafora, avente causa
per successione da Pino Spatafora, e fu da esso venduto a Bologna
Francesco di Luigi, il quale ne ottenne l'investitura nello stesso
anno.11
Nel 1666 un altro Filippo Spatafora, figlio primogenito di Onofrio
e successore dell'avo Filippo Spatafora, sopradetto, ricuperò
il feudo, e ne fu investito nello stesso anno e nel 1702.12
A lui successe il figlio primogenito Alonso Spatafora e Barottelli,
che ne ottenne l'investitura nel 1704.13 Però
nello stesso anno, in data 5 novembre XIII ind., appare un'altra
investitura in persona di Luigi Spatafora e Barotelli. D. Alonso
nacque il 23 ottobre IX ind. 1685 e si rese benemerito del paese
colla fondazione delle scuole di S. Domenico, delle quali parlerò
in seguito. Morì nel 1756 e con lui si estinse in linea
maschile la famiglia Spatafora, il cui stemma si trova scolpito
sulla sua tomba nella chiesa di S. Giuseppe in Ciminna, e consiste
in uno scudo avente nella parte inferiore un braccio con una spada
nella mano e nella parte superiore tre stelle. Ecco ora l'iscrizione
esistente sulla detta tomba: «Hic iacent ossa baronis
D. Alontii Spatafora viri pietate insignis e vivis erepti anno
salutis MDCCLVI. IV Idus lunii et suae LXXI coniux viro cui sociatur
».
Finalmente nel 1758 il feudo pervenne a Filippo Ciminna, per transazione
con Filippo Brancato giusta atto di not. Paolino Facella da Palermo
a 15 giugno di detto anno, ed esso ne fu investito a 7 agosto
del ripetuto anno 1758. Nell'inventario del Manzone non si trovano
citate altre investiture di data posteriore.
Il detto Ciminna appartenne ad una famiglia oriunda di Montemaggiore
ed ora parimente estinta in linea maschile. I suoi componenti
avevano il titolo di baroni della Mantia e del Feudaraso, e alcuni
di essi si distinsero per pietà e beneficenza.
Lo stemma della detta famiglia si trova scolpito sulla tomba del
barone D. Filippo Ciminna, morto di anni 76 il 23 febbraio 1736
e sepolto nella chiesa di S. Domenico in Ciminna, e consiste in
uno scudo diviso in quattro campi, dei quali ognuno porta un emblema
particolare,
11.
Inventario dei processi d'investiture feudali dal 1452 el 1812,
compilato dal cav. Gaspare Manzone.
12. Inventario cit.
13. Inventario cit.
Gli stemmi in origine furono
portati dai cavalieri, e poi estesi alle città ed alle
nazioni. Però i Comuni feudali, che erano in tutto rappresentati
dai baroni e non avevano quasi alcuna autonomia, spesso adottarono
per omaggio quelli dei loro signori.
Ciminna pertanto adottò
quello della
famiglia Grifeo, coll'aggiunta
di una mammella nella parte inferiore dello scudo, come si vede
scolpito sulla lapide della fonte sita nella Piazza Umberto I.
Sembra però che anticamente Ciminna abbia avuto uno stemma
proprio, consistente in una mammella, come puossi ancora osservare
sopra l'orologio della casa comunale. Esso ebbe forse origine
dalla fertilità del territorio o dal significato nel nostro
dialetto delle ultime due sillabe della parola Ciminna.
Ormai sarebbe tempo che la rappresentanza municipale, anche per
cancellare ogni traccia dell'antico feudalismo, deliberi la scelta
di uno stemma più adatto.
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