1.
Aumento della popolazione per l'abbandono di alcuni casali
Dopo l'epoca primordiale, descritta nel terzo capitolo,
Ciminna divenne più popolata per l'abbandono di altri casali,
avvenuti nella seconda metà del secolo XIII, cioè Ihabica,
Kadia e Rakalcadia, che popolarono anche Motta S. Agata, Fontanamurata,
Machinese ed altri luoghi.1
Ne accrebbero forse la popolazione anche il casale Gallo Rebalsuat e
quello della contrada S. Nicolo.
Poco tempo dopo avvenne la rivoluzione del vespro siciliano, in cui
Ciminna seguì naturalmente l'esempio degli altri Comuni dell'isola.
Non si sa precisamente il giorno in cui essa abbia fatto il suo vespro,
ma dovette essere pochi giorni dopo quello di Palermo, perché
essa ne ebbe presto notizia per la sua vicinanza e perché dopo
quasi un mese non restava a Carlo che la sola Messina. Il ricordo del
vespro è ancora vivo in questo popolo, il quale per esprimere
un fatto straordinario suoi dire: Ci fu lu vespru sicilianu.
Come ogni altro Comune della Sicilia, Ciminna apprestò al Re
Pietro d'Aragona i donativi stabiliti nel Parlamento di Catania per
le spese della guerra contro l'aborrito angioino. Questi donativi furono
in sussidi da bocca, in denaro e in armigeri.
1.
L. TIRRITO, Sulla città e comarca di Castronovo, Palermo 1873,
p. 367.
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2. Stato
del paese verso la fine del secolo XIII
Ciminna a quell'epoca era un semplice
casale,2 come appare chiaramente
dalla concessione feudale fatta nel 1299 a Virgilio Scordia da Catania
e dalla ratifica avvenuta l'anno seguente, in cui Ciminna è chiamata
sempre casale. Ma nel corso del secolo XIV essa crebbe ancora d'importanza
e divenne una Terra; infatti venne designata con questo nome nell'atto
di permuta fatta da Guglielmo Raimondo Peralta con Giuliana nel 1369.
2. Casale nel comune linguaggio dell'idioma
romano-barbaro del medio evo significava villaggio o borgata, ove un'accolta
di gente si adunava ad abitare.
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3. Inimicizia
di Matteo Sclafani, barone di Ciminna, con Manfredi Chiaramente, e sua
condotta nella rivoluzione palermitana del 1351
Nell'anno 1349 la città di
Palermo, volendo snidare dai castelli di Vicari e di Cefalà il
partito catalano,3 che infestava
le campagne dei dintorni, invitò molti Comuni dell’isola
in Val di Mazzara, e principalmente le Terre di Corleone, Frizzi, Castronovo,
Cammarata e Ciminna, come luoghi circonvicini, per prestare armigeri a
piedi ed a cavallo. Il comando supremo della squadra fu affidato a Matteo
Sclafani, signore di Ciminna, il quale, dopo avere assediato il castello
di Vicari, ne cacciò i ribelli.
Ma non fu durevole per la città di Palermo il risultato ottenuto,
perché lo Sclafani, sebbene latino di sangue, aderiva al partito
catalano per una vecchia gelosia con Manfredi Chiaramente, a cui solo
aveva figurato inferiore per sostanze e credito in Palermo. Perciò
partitesi da questa e fatto nucleo nella sua baronia di Ciminna, infestava
con assalti e rapine le strade e le campagne all'intorno fino a Palermo,
apportando dei danni ai seminati e agli alberi, e facendo anche rubare
gli armenti.4
Allora Manfredi Chiaramente, volendo vendicarsi del potente barone di
Ciminna, pensò far nascere in Palermo una finta rivoluzione per
mezzo del suo familiare Lorenzo Murra, allo scopo di attirare in Palermo
i catalani e specialmente lo Sclafani, per poi ucciderlo e invadere la
Terra e. i beni di costui.
Suscitato il tumulto, il Chiaramente finse d'impaurirsi e ritirossi a
Castellammare con tutta la sua famiglia e le cose preziose; e allora il
Murra consigliò di porre al governo della città il Conte
Blasco d'Alagona, capo del partito catalano e residente allora in Catania,
coi baroni suoi aderenti in Val di Mazara ed in particolare il barone
di Ciminna, come più vicino per soccorrere la città di armati
e di grano.
Il Conte Blasco d'Alagona credette a quell'inganno e quindi scrisse lettere
pressanti a Matteo Sclafani e agli altri baroni suoi aderenti per volare
in soccorso di Palermo. Francesco Ventimiglia, attirato in Palermo da
un amore giovanile, rispose all'invito coi fratelli e le proprie masnade,
ma l'accorto barone di Ciminna non si lasciò sedurre e si tenne
forte nella sua Terra, ritenendo anche una parte delle comitive che non
avevano seguito i Ventimiglia.
Intanto i Chiaramente, raccolta una quantità di genti, s'appiattarono
in Caccamo, castello ereditario del conte di Modica, per cogliere all'improvviso
lo Sclafani nel passaggio, ma rimasti delusi andarono alla capitale, dove
il Murra aprì loro le porte, e suscitarono un nuovo tumulto gridando:
Morte ai catalani (1351).
3 . Il
Re Pietro d'Aragona venuto a liberare la Sicilia dal giogo angioino
aveva condotto con sé alcuni nobili catalani. Questi in principio
furono accolti con entusiasmo dal popolo, ma poi arricchitisi nelle
nostre contrade ed investiti delle signorie di molte Terre eccitarono
la gelosia dei baroni siciliani, donde l'origine dei partiti catalano
e siciliano, che si disputarono per molto tempo il governo del regno
4 . ISIDORO LA
LUMIA, Storie siciliane, voi. II, pp. 138 e 139
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4.
Visita di re Alfonso il Magnanimo fatta a Ciminna.
Pertanto Ciminna accresceva la sua importanza, e
nel secolo XV ebbe anche l'onore di essere visitata dal Re Alfonso soprannominato
il Magnanimo, che vi si recò nell'anno 1443. Questo fatto si
conservò lungamente nella memoria del popolo e se ne fa menzione
in un deliberato decurionale del 28 agosto 1842, al quale non può
darsi che il valore di semplice tradizione.
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5. Notari pubblici.
In quel tempo non vi erano in Ciminna notari per
la stipula di atti pubblici e si ricorreva a quelli di altri paesi,
specialmente di Termini. Il primo notare di Ciminna fu Simone Bonafede,
che lasciò quindici volumi di atti pubblici, che vanno dal 1469
al 1480. Nel 1496 cominciò ad esercitare un altro notaro pubblico
chiamato Antonino Bonafede, e da quell'epoca in poi fino ad oggi vi
sono stati quasi ottanta notari, i cui atti formavano un archivio importantissimo
sotto la direzione di un conservatore. Ma l'art. 3 della legge 6 aprile
1879 N. 4817 trasformò gli archivi comunali in distrettuali,
e quindi nell'anno 1897, avvenuta la morte del not. Francesco Paolo
Piraino, che fu l'ultimo conservatore, tutti quegli atti in numero di
1245 volumi, oltre a molti bastardelli e pochi volumi indecifrabili,
furono consegnati all'archivio distrettuale di Termini e trasportati
in quella città. Il Comune cercò di conservare il suo archivio,
trasformandolo in mandamentale, e a tale scopo iniziò delle pratiche,
che, condotte con poca attività, furono troncate dalla morte
del suddetto notar Piraino.
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6.
Comunità giudaica di Ciminna
Ciminna aveva una comunità giudaica, che
viveva con leggi e costumi propri ed era sotto la dipendenza di quella
principale, residente in Palermo. Pubblicato il decreto reale del 31
marzo 1491, col quale si ordinava a tutti i giudei lo sfratto dalla
Sicilia, il barone di Ciminna, volendo darsi a conoscere pronto esecutore
della suprema risoluzione del monarca, cominciò senza alcun
motivo a carcerare, rubare e molestare in diversi modi i giudei del
paese. Perciò la comunità si rivolse al viceré
Ferrando de Acugna, il quale con ordine dato a Messina il 17 agosto
1492 X ind. spedì Pietro De Asprea a Ciminna per la protezione
dei giudei, che furono malmenati da quel barone, e conduci a Messina
insieme coll’inventario dei loro beni.5
Non si può indicare il numero delle persone, che componevano
la comunità di Ciminna, ma si può calcolare, come negli
altri luoghi, quasi un decimo di tutta la popolazione. Siccome essa
allora aveva circa 5000 abitanti, ne segue che il numero dei giudei
s'aggirava intorno alle 500 persone.
5 Codice
diplomatico dei giudei in Sicilia, raccolto e pubblicato da Bartolomeo
e Giuseppe Lagumina, Palermo 1895, voi. XVII, P- 152; GIOVANNI Di
GIOVANNI, L'ebraismo della Sicilia, Palermo 1748, p. ffl
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7.
Peste del 1495
Pochi anni dopo la cacciata degli
Ebrei e precisamente nell'anno 1495 vi fu in Ciminna un'epidemia di
peste. Essa è la prima conosciuta con certezza, e se ne trova
notizia in un'iscrizione incisa su di un'antica tavoletta murata sopra
la porta della sacrestia di S. Rocco:
AN. DNI — 1495 — FVIT PESTIS.
Per la distanza del tempo che ci separa da quell'epidemia e per la mancanza
di registri negli archivi municipali e parrocchiali, non possiamo indicare
il numero delle vittime; ma queste dovettero essere numerose per una
tradizione che si conserva ancora nel popolo. Infatti si dice che questo,
durante la detta epidemia, avesse fabbricato la chiesa di S. Rocco,
ch'è ritenuto il protettore contro il flagello della peste.
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