1. Antica festa di S. Antonio
A poca distanza da Ciminna esiste una chiesa dedicata a S. Antonio
abate. Essa ha un' origine antica, che non si può precisare
per mancanza di documenti ; però esisteva con certezza
nella prima metà del secolo XVI. E la più grande
di tutte le chiese, che sono fuori l'abitato, ed è divisa
in tre navate sulle cui pareti si vedono rozze pitture rappresentanti
alcuni episodi della vita del santo, le quali, secondo la tradizione,
furono eseguite da un latitante, quando le chiese erano asili
impenetrabili alla giustizia. Ora le dette pitture sono in parte
distrutte per lavori murarie fatti dopo.
Nella detta chiesa vi era la confraternita di S. Antonio e vi
si celebrava ogni anno, a 17 gennaio, la festa di S. Antonio
abate, e ciò da tempo antichissimo, come risulta da un
documento del 1584, nel quale si legge che la detta festa si
celebrava da tempo immemorabile. Essa merita di essere conosciuta
per alcune usanze e leggende caratteristiche.
Nei tempi antichi era la festa principale del paese con molto
concorso di forestieri, che affluivano dai paesi vicini e perfino
da Palermo. Fra essi vi erano i preti albanesi del comune di
Mezzoiuso, i quali officiavano nel loro rito ed erano alloggiati
in alcune casette appartenenti alla chiesa, delle quali si vede
ancora qualche avanzo. Una di queste, ancora esistente ali'
estremità dello abitato, prese il nome di ospedale di
S. Antonio, e quando, per la decadenza della festa, venne meno
il concorso dei forestieri, la chiesa volle per molto tempo
continuare la sua ospitalità, facendo 1' elemosina di
un tari a ogni pellegrino che capitava nel paese.
Dai conti della festa, che rimontano al 1770, si rileva che
anticamente essa era preceduta da un ottavario e dalla vigilia,
vi eia suono di trombe e di tamburi con pifferi per la terra,
sparo di mortaretti, apparato in chiesa, primo e secondo vespro,
messa solenne in musica e processione del santo.
Nella vigilia, a mezzogiorno, vi era la masculiata,
la quale distruggeva la malerva, specie di erba tanto nociva
agli animali che fece nascere il seguente motto : un mazza
di malerba ammazza centu cavaddi.
Nel giorno della festa il popolo accorreva numeroso alla chiesa
di S. Antonio per ringraziare il santo delle grazie ricevute
o per ottenere i suoi favori, e quando per le intemperie o per
malattia qualcuno non poteva farlo, rivolgeva al santo la seguente
invocazione :
S. Antoni, nun pozzu viniri
C'è la nivi e nun pozzu passati
Vui m' aviti a pirdunari
Si 'un vi vegnu a visitali.
La funzione più solenne della festa era la processione.
La
bara del santo, tutta in legno e di mediocre fattura, è
molto pesante e per portarla occorrevano tre castagnuoli e diciotto
persone. Essa è formata da un piedistallo quadrangolare
e da due gradini aiti cinquanta centi -metri. Sopra di esso
poggia una gran sedia a bracciuoli, ornata di dragoni e serpenti
1, sulla quale
è seduta la statua del santo più grande del naturale
e in abito di abate con 1' aureola dietro la testa. Ha la faccia
di color naturale e le mani nere, tiene la mano destra alzata
in atto di benedire con le prime tre dita estese e le ultime
due flesse e con la sinistra porta il bacolo o pastorale. Ai
piedi del santo, sul piedistallo è poggiato a destra
la mitra e a sinistra le fiamme e il porceliino nero. Dagli
angoli del piedistallo s'innalzano quattro pilastri, formati
ognuno da due colonnine tortili e al di sopra dei capitelli
si intrecciano diagonalmente fra loro formando una specie di
volta a cupola sopra la statua del santo. Al di sotto di detta
cupola e ai lati dei detti pilastri vi sono quattro archi semicircolari.
La bara misura l'altezza di m. 3,50, compreso il piedistallo,
oltre il finimento della sommità.
La detta statua era portata in processione dentro il paese,
attraversando un torrente sempre in piena al tempo della festa
e una via di campagna. Negli anni in cui le piogge e le nevi
erano più abbondanti del solito e quindi rendevano la
via impraticabile, era condotta in processione un* altra statua
del santo, che si conserva nella chiesa di S. Domenico ed è
chiamata dal popolo S. Antoni lu nicu per distinguerla dall'altra
detta S. Antoni lu granni.
(1) Due dei
tanti animali sotto le quali forme apparve il demonio al santo
anacoreta nel deserto.
2. Macellazione delle vacche
La solennità della festa era accresciuta dalla
macellazione di alcune vacche, la cui carne si distribuiva gratuitamente
a tutti i cittadini e ai forestieri. Infatti nel 1579 i rettori
della chiesa di S. Antonio ottennero dal viceré di Sicilia
di poter macellare otto vacche di guasto1.
Nel 1584 i suddetti rettori, visto l'aumento della devozione
e dell' affluenza dei forestieri pei miracoli del santo, chiesero
al viceré di quel tempo Marco Antonio Colonna di poterne
macellare almeno venti, o più se ve ne fosse bisogno.
Ma il viceré, con lettera del 9 gennaio, ne concesse
solamente dodici. Nel 1629 1' affluenza dei forestieri era ancora
tanta, che fu chiesto ed ottenuto di poterne macellare venti,
e tale privilegio fu confermato il 15 gennaio 1640. Ma da qual
tempo cominciò a diminuire il numero delle vacche macellate,
finché nel 1845 si ridusse a tre e poco tempo dopo cessò
del tutto2.
Le vacche erano comprate a spese della chiesa e talvolta offerte
dai devoti del santo. A questo proposito si racconta e si crede
dal popolo, che una volta i rettori della chiesa, essendo andati
in una masseria a chiedere l'elemosina di un animale bovino,
ebbero concesso un toro furioso a condizione che avessero potuto
legarlo con fune. Allora essi, in nome del santo, si avvicinarono
ai detto toro che divenne subito quieto e si fece legare facilmente.
Le vacche erano custodite da un boaro o date a fida, e la vigilia
della festa macellate. La carne era benedetta solennemente e
dopo cominciava la distribuzione, nella quale vi erano dei privilegi.
Infatti un quarto di vacca toccava al barone del paese e un
altro ai preti, fra i quali erano anche i privilegiati, perché
ali' arciprete spettava una testa di vacca, al cappellano notturno
delia Madrice un'altra testa e una quartara di sangue, ed al
sacrestano della chiesa li cosi di dintra. La distribuzione
della carne al popolo si faceva in proporzione dell' elemosina
fatta al santo, e in quel giorno era vietata ai macellai la
vendita della carne. Per darle maggior fragranza la carne era
ornata con rami di alloro e di arancio, e si racconta che una
volta in mezzo ai detti rami fu dimenticato un quarto di vacca,
che nell' anno seguente fu trovato per miracolo del santo sano
e fresco.
(1) Le
leggi in Sicilia infliggevano pene severissime a coloro che
mandavano al macello i loro animali di specie bovina, onde per
ìe provviste della carne si doveva spesso far venire
il bestiame dall' Africa o da altro luogo. Leggi assurde, perché
mentre riconoscevano 1'importanza dei detti animali per l agricoltura,
facevano di tutto per farli mancare, impedendo il guadagno di
coloro che ne producevano.
(2) La macellazione
dei buoi per la festa di S. Antonio era una usanza di origine
forse pagana. Infatti Gregorio Magno scriveva il 22 giugno del
601 a Lorenzo prete e a Melilo abate, che si recavano in Inghilterra
: Si dice che gli uomini di questa Nazione usino sacrificare
dei buoi. Bisogna che questa usanza sia da essi convertita in
solennità cristiana, che essi li uccidano non più
come offerta al diavolo, ma pei banchetti cristiani in nome
ed onore di Dio, a cui, dopo di essersi satollati, renderanno
grazie. Pitrè, Feste Patronali in Sicilia, Torino
- Palermo, pag. I..X.
3. Panuzzi e divuzioni di S. Antonio
Oltre la carne, si davano al popolo dei panini (panuzzi),
che erano grandi quanto un soldo di pane di quel tempo e distiibuivansi
alle confraternite, le quali intervenivano alla processione
del santo, li frumento era comprato a spese della chiesa; ma,
cessata la macellazione delle vacche, i detti panini furono
sostituiti da altri più piccoli senza lievito, detti
diluzioni e fatti di varie forme, fra le quali quelle di maiali
o di fiamme. Si facevano pure molti pani di S. Antonio e si
distribuivano ai poveri. Ogni sacrestano che suonava le campane
aveva diritto ad un pane, ma a quello di S. Antonio spettava»
anche un fiasco di vino, perché il giorno della festa,
due ore prima di far giorno, sonava la palrinoslru, chiamato
così perché al suono di quella campana ogni persona
doveva recitare un paternostro al santo della chiesa.
4. Leggende di S. Antonio
La distribuzione della carne e del pane fece nascere
nel popolo una leggenda. S. Antonio era figlio di agiati
e pii genitori, e sin dalla fanciullezza si esercitava negli
atti di carità cristiana. Perciò aveva l'abitudine
di nascondere parte della carne destinata ali' uso della
famiglia, dividerla in fette e con un pezzo di pane darla
ai poveri. Il padre si accorse del fatto e accusò
i servi, ma questi erano innocenti e non tardarono a conoscerne
1' autore. Infatti una mattina di gennaio essi chiamarono
la madre di Antonio, mentre questi portava ai poveri la
solita elemosina. Ella domandò al figlio che cosa
avesse nelle mani, ed egli rispose : rosi e sciuri,
e così dicendo glieli mostrò. Allora la madre,
meravigliata del fatto, disse al figlio : figghiu o
si santu o si magaru, quannu rosi 'nta innaru ?
E da quel giorno in poi gli permise di fare quello che volesse.
In segno di questa caritatevole abitudine del santo, si
distribuivano carne e pane.
Anticamente si faceva nella festa lu triunfu di li busi,
e nel 1768 furono pagati per compra di essi tari 5.
Un'altra usanza caratteristica della festa era la benedizione
degli animali bovini, equini e ovini condotti dinanzi la
chiesa, i quali erano benedetti da un prete in cotta e stola
con 1' aspersorio d'acqua lustrale. Agli animali che non
potevano andarvi per malattie o altre ragioni, si faceva
mangiare un po' di fieno benedetto, e nelle loro stalle
si metteva un'immagine del santo. Alcuni devoti piegavano
la figura in otto o più parti, mettendola dentro
un sacchettino cucito e appeso alla parte superiore della
retina in forma di abitino, per difendere 1' animale
da qualsiasi disgrazia. La facoltà di benedire gli
animali, che S. Antonio ha comune con altri santi, gli venne
da Dio concessa, secondo la credenza popolare, pel merito
di avere sempre resistito al demonio, che gli apparve tante
volte sotto forme di animali diversi.
L'esistenza delle fiamme sulla bara sopra descritta e il
color nero delle mani del santo fecero nascere nella mente
del popolino un' altra leggenda, la quale
merita pure di essere raccontata.
I genitori di S. Antonio erano sterili e pregavano sempre
il Sgnore per avere una prole, ma le loro preghiere rimasero
per molto tempo inascoltate. Allora la madre, che n'era
più desiderosa, si rivolse al demonio, il quale le
promise un figlio maschio con la condizione che all' età
di dodici anni glielo dovesse consegnare. La donna accettò
il patto e da quel momento rimase incinta. Per questa ragione
i coniugi sterili si raccomandano al detto santo e si racconta
di uno, il quale lo pregò con Unto fervore che ottenne
tre figli in un solo parto, e si dice pure che egli abbia
esclamato: troppa grazia S. Antoni1.
Però il figlio, eh' era frutto di un patto col demonio
fu da Dio destinato alla santità, e perciò
cresceva con gii anni nella preghiera e nel timore di Dio.
Ma arrivato ali' età stabilita fu dalla madre, suo
malgrado, consegnato al demonio, che lo portò ali'
inferno. Ivi per la sua santità il giovanetto non
potè entrare e però fu messo a sedere dinanzi
la porta, dalla quale uscivano ed entravano i demoni carichi
di legna per alimentare il fuoco dell' inferno. Allora Antonio,
fattosi portare da essi un bastone né diritto né
torto, dava legnate a tutti i demoni, che decisero di riportarlo
alla casa paterna, ma vollero che egli, prima di partire,
toccasse con tre dita la porta dell' inferno. Ritornato
a casa, Antonio vi rimase poco tempo e, conoscendo le gravi
pene che si soffrono in quel luogo, abbandonò le
ricchezze paterne e se ne andò nel deserto, dove
visse sempre da anacoreta. Ivi i demoni per vendetta di
quello che avevano sofferto, lo tormentarono in tanti modi,
apparendogli in forma di animali diversi, che alle preghiere
del santo fuggivano gettando fiamme dietro a loro. E tale
credenza è nata dal fatto che il porcellino esistente
sopra la bara ai piedi del santo è di color nero.
Ma il popolo, che ragiona con una logica sua propria, ha
fatto di questo immondo animale, rappresentante il demonio,
un protetto del santo, e l'invoca nelle malattie di esso
per ottenerne la guarigione. Perciò alcuni lo chiamano
il santo dei porci, e 'Ntoni porcu si dice per
offesa a chi porta questo nome. Ma il santo se ne offende
e li punisce con legnate date nel sonno, con una terribile
malattia detta fuoco di S. Antonio (erpes zoster)2,
e non li lascia in pace neppure dopo la morte, perché
li punisce con le pene dell' inferno. Perciò è
abitudine generale delle persone devote di aggiungere nelle
preghiere un patrinostru a S. Antantoni per la
liberazione dalle pene dall' inferno.
Ma la credenza del popolo non è verisimile, poiché
se il porco rappresenta una delle tante metamorfosi animalesche
dei demonio, non poteva il santo elevarsi a protettore di
questo animale e farsene un compagno inseparabile, che io
segue in attitudine umile e quasi affettuosa. Né
poi è certo che il demonio sia apparso al santo in
forma di porco, perché nelle Vite dei Santi Padri
non troviamo alcuno accenno di cotesta diabolica metamorfosi3.
Perché dunque S. Antonio è il protettore dei
suini, e per estensione, anche dei cavalli, dei muli, degli
asini e delle vacche ?
La spiegazione più attendibile
data finora è riportata da Alessio Di Giovanni nel
n. 1, anno IV del Bollettino del Provveditorato agli studi
della Sicilia ed è la seguente.
In un paese del Delfinato in Francia c'era un convento di
monaci chiamati Antoniani. Avvenne un giorno che le mandre
di porci dei dintorni e anche quella del convento furono
invase da un male strano e così violento che le povere
bestie ne morivano a vista d' occhio, e sarebbero tutte
perite se gli Antoniani non avessero trovato un rimedio
meraviglioso. Per riconoscenza ai monaci i loro porci godettero
di particolari immunità e per riconoscerli facilmente
dagli altri portavano, come contrassegno, una campanella
appesa ad un collare di cuoio. Da ciò venne l'uso,
che si sparse poi dovunque, di ritrarre ai piedi del santo
un porceliino col collare di cuoio e la relativa campanella,
che i pittori in seguito, ignari del fatto, attaccarono
ai pastorale.
S. Antonio è anche il protettore del fuoco, e si
invoca anche nei casi d' incendio, perché egli vide
e toccò con le dita il fuoco dello inferno.
La giornata in cui si celebrava la festa di S. Antonio soleva
essere né buona né cattiva, e da ciò
nacqne il motto : Sant' Antuni menza tìnta e
menza bona.
(1) L'
origine e di questo motto è raccontata diversamente
da alcuni scrittori, ma, comunque sia, si ripete a proposito
di qualcosa di eccessivo, che riesca dannoso appunto per
questo.
(2) Malattia
infiammatoria della pelle, simile a una scottatura, che
gli antichi chiamavano fuoco sacro (Celso), fuoco di S.
Antonio. E focu di S. Antoni si dice per imprecazione
(gastima) a chi si vuol male.
(3) Infatti
nelle dette Vite e precisamente in quella del detto tanto
compilata da S. Atanasio vescovo d' Aletsandria si narra
che il demonio apparve ad esso in forme di angeli, monaci,
giganti, Satana in persona, in apparenza dì uomo
grandissimo, cavalieri armati e fiere varie e mostruose,
non mai di porco.
La festa di S. Antonio segnava la fine della semina
dei cereali : fina a S. Antoni li simenti su boni.
Era creduta il periodo più freddo dell' anno
: S' Lorenzu la gran calura, S. Antoni
la gran friddara, l' una e l' atra poco dura.
Le donne e le massaie aspettavano la festa di S. Antonio,
perché le galline ricominciavano a fare le uova
: pi S. Antoni li tinti e li boni (galline).
Essa segnava, come in tutti i paesi anche fuori di Sicilia,
il principio del carnevale, a causa forse del protetto
del santo, che è simbolo delle cose carnevalesche
e del fatto che a 17 gennaio le feste natalizie sono
chiuse.
Ora la festa è finita da molti anni, la chiesa
è cadente e la statua del santo fu portata alla
Madrice, dove si trova.
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