Premessa -Gli usi e i costumi
dei popoli si trasformano e scompaiono con 1' andar del tempo
per dare vita ad altri usi portati dalla civiltà. In
queste trasformazioni vi sono degli esseri che soffrono : sono
i vecchi, affezionati alle usanze di altri tempi, che in ogni
novità, fosse anche un progresso, vedono tramontare qualche
cosa della loro giovinezza.
Quando a Parigi fu tolto 1" ultimo omnibus a cavalli e
il pesante veicolo uscì per 1' ultima volta dalla rimessa,
la gente lo circondò subito e lo coperse di fiori. La
vettura, che era già il passato, traverso le vie della
città come un carro funebre con molta commozione del
pubblico, perché qualche cosa finiva, tramontava per
sempre. Recentemente, nella stessa Parigi, il progresso ha fatto
scomparire una delle istituzioni più tradizionali e più
tipiche nella cattedrale di Notre Dame : i campanai sono stati
rimpiazzati da un impianto elettrico che mediante appositi bottoni
mette in azione 1' una o 1' altra campana della torre. Da ora
in poi 1' ufficio del gobbo Quasimodo non ha più ragione
di esistere. Otto campanai eserciteranno le loro funzioni ancora
per un certo tempo, perché il nuovo impianto non comprende
ancora la più grande delle campane, che si chiama Emmanuel
e che pesa 13 tonnellate. I lavori d' impianto saranno prossimamente
ultimati e allora anche questi superstiti di un mestiere che
sta per scomparire dovranno andarsene in provincia a cercar
lavoro. Un popolo, scrisse Montesquieu, difende sempre più
i suoi costumi che le sue leggi.
1. Fidanzamenti e
matrimoni. —- Per procurarsi il manto alcune ragazze
facevano i cosidetti viaggi al santuario di S. Vito nei sette
martedì che precedono la festa celebrata ogni anno il
15 giugno in onore del detto santo ; perciò quando una
donna era arrivala all'età sinodale senza sposarsi si
diceva, per ischerzo, che essa non aveva fatto i viaggi a S.
Vito1. Ma ciò
accadeva raramente, perché i giovani facevano presto
all'amore.
Il pretendente iniziava l'assalto con canzoni che cantava o
faceva cantare vicino la casa della donna amata. Vi erano cantatori
di mestiere, che cantavano a pagamento canzoni di amore e di
sdegno a un tanto per una, con accompagnamento di chitarra e
mandolino, che formavano il notturno.
Quando i parenti della donna non volevano saperne, seguivano
risse e ferimenti, che non davano luogo a querela, perché
allora si diceva : corna e bastonati cu l' havi si li porta.
Allora il pretendente faceva cantare un' altra canzone non più
di amore, mai di sdegno e non se ne parlava più 2,
ma quando fra le due anime vi era corrispondenza di amorosi
sensi, i due colombi, stanchi di attendere, prendevano il volo,
come succede con maggior frequenza anche oggi. A mali estremi,
rimedi estremi.
Per solito il partito era accetto e alla canzone seguiva la
richiesta di matrimonio che era naturalmente accettata, e allora
l'intermediario, che era spesso una persona d'importanza, portava
al pretendente anche la nota della dote (la minuta).
Dopo pochi giorni seguiva la così detta pigghiata
paci, che oggi si dice appuntamento. Essa consisteva nella
promessa scambievole di matrimonio, che, come si rileva da un
atto pubblico del 1819, si faceva con giuramento solenne.
Durante il fidanzamento lu zitu visitava spesso la
zita, la quale lavorava attivamente per prepararsi il corredo.
Fino alla metà del secolo scorso le famiglie agiate si
recavano a Palermo per comprare li robbi alla zita.
Il viaggio era allora pericoloso, e chi lo faceva per la prima
volta restava spesso vittima dei mulattieri, degli osti, dei
venditori e perfino dei borsaioli di città e dei ladri
di campagna.
Dopo ciò si passava alla stima della biancheria, fatta
da una o due donne di fiducia, le quali, come risulta dal citato
atto del 1819, giuravano alla presenza dei parenti e degli amici
di giudicare secondo la loro perizia e coscienza.
Finalmente arrivava quel benedetto giorno, e la promessa sposa,
accompagnata dai parenti e dagli amici, andava in corteo alla
chiesa e di là in casa dello sposo.
La mattina seguente i genitori dei nuovi sposi andavano a fare
la ben livata, e nei primi giorni di matrimonio seguivano
le visite degli amici, che gli sposi restituivano nella domenica
seguente.
(1) Le preghiere fatte
ai santi dalie ragazze per trovare manto non sono un fatto nuovo
né isolato, perché la giovane qualunque sia la
sua età, non osa mai palesare ai genitori il suo desiderio
di andare a marito e perciò sì raccomanda ai santi.
Il Pitrè nei suoi Canti popolari siciliani, voi. Il,
pag 30 riporta la seguente invocazione da lui raccolta a Marsala
: Sant' Antuninu, mittitiìu in cammìnu (L'affare
del matrimonio). San Pasquale facitilo fari (il matrimonio).
Santu Nofriu gluriusu
Beddu, picciottu e graziuso (il marito).
Nel libro Usi e Costumi, Novelle e Poesie del popolo
sic!Iiano pubblicato in Palermo nel 1924 da Benedetto Rubino
e Giuseppe Cocchiara, pag. 26, è riportata la seguente
preghiera rivolta a un maggior numero di santi, compresa anche
la Madonna.
S. Antuninu mittitilu in caminu
(è il santo generalmente più invocato)
S. Giuvanni scriviti lì banni,
S. Nofriu gluriusu - beddu picciottu graziusu ;
S. Gaetano a manu a manu,
S. Pasquali facitilu fari,
Madunnuzza di Canicatti lu parintatu pozza diri si
In Ciminna le ragazze hanno maggior fiducia a S. Vito,
perché ritenuto un santo molto miracoloso e perché
fu m vita giovane e bello.
Nella città di Palermo le fidanzate quando la zi fu
cerca allontanarsi da loro, ricorrono ali' Armi de' corpi
dicullatì come ce nf attesta un t-anto raccolto dal
Pitrè a Vìllabate :
Armi 'i corpi diculUti Fri 'impisi,
tri occisi e tri a lineati
Tutti novi vi lunciti,
Ni 'u me zitu vi 'nni iti ;
Tanti e tanti cct 'nni dati
C a *n terra lu lassati.
No pi fallu munii,
Ma pi fallu a mia viniri. <br>
(2) A
questo proposito il Pitrè (Canti popolari siciliani,
voi. 1, pag. 33) narrò avere inteso dire di una fanciulla
morta di lento malore dopo uno di siffatti notturni di sdegno
e aver saputo di giovani cantatori uccisi di schioppo dai
parenti della povera ragazza durante o poco appresso il notturno.
2.
Nascite. — Prima di compiersi
un anno, la nuova famiglia era allietata dalla nascita di un
bambino. Allora andavano a congratularsi con la madre i parenti
e gli amici, specialmente se il neonato era di sesso maschile,
poiché i maschi valgono più delle femmine : una
dogghia cchiù e fussi masculu. I masculi sunna
forti a veniri, forti a crisciri e forti a rinesciri, e
viceversa : quannu nasci una fimminedda ci cadinu
li vuredda ai genitori, che aspettavano un maschietto.
Anche nei tempi remoti in Oriente le cure dei neonati erano
considerevolmente maggiori per i maschi che non per le femmine
considerate come molto meno interessanti. La maternità
era lo scopo fondamentale del matrimonio, il quale in mancanza
di figli poteva anche essere spezzato, e in ogni caso la sterilità
della donna era considerata come una vera e propria sventura
e si riteneva un castigo di Dio.
Prima che nascesse il bambino, si sceglieva il compare, che
per lo più era una persona di nota moralità, perché
si credeva che i figliocci portassero sempre le virtù
ed i vizi dei padrini. Avvenuto il parto, il compare faceva
dei regali al neonato : vesticciuole, collanette d oro o d'argento,
e se era femmina anche orecchine. Ma nei contadini le orecchine
si regalavano anche ai maschi dal nonno o dallo zio, di cui
il neonato doveva portare il nome, avevano la forma a catenaccio
o ad anello. Erano portate per la credenza del popolino, secondo
la quale esse preservavano dalle malattie degli occhi, ma negli
adulti erano segno di mafia e indicavano il fermo proponimento
di conservare il silenzio nei delitti.
Venuto il giorno del battesimo, che per lo più era la
domenica seguente al parto, il neonato era portato in chiesa
da una donna accompagnata dalla levatrice e da una ragazzina
che portava un boccale pieno d'acqua per far lavare le mani
al prete, che aveva toccato l'olio santo.
Nei tempi passati, come si rileva da una fede di battesimo del
25 aprile 1556, i compari erano due uomini, dei quali uno portava
il neonato alla chiesa e di là alla casa di esso e 1'
altro lo teneva al fonte battesimale. Ma dal 1588 in poi vi
fu un solo compare, e in seguito un compare e una comare, finché
nel secolo XVIII questo secondo uso divenne costante fino ai
nostri giorni.
I primi accenni della levatrice nei battesimi si trovano nel
detto anno 1588, e per molto tempo, fino al secolo XVIII, essa
fece anche da comare, col quale nome il popolo la chiama tuttora
1. Anche il
prete che battezzava il bambino era compare rispetto ai genitori
di questo.
Il compare rappresentava per il figlioccio un secondo padre
(padrino), di cui faceva le veci, e quando occorreva aveva il
diritto di correggerlo; ma in occasione di feste gli faceva
dei regali. Il figlioccio, in compenso, doveva al padrino il
più grande rispetto e aveva il dovere di baciargli le
mani.
Coi genitori il compare contraeva il vincolo del comparatico,
chiamato S. Giovanni, perché fu questo santo che inventò
il battesimo. I compari si trattavano come parenti, perciò
si facevano dei regali e nel carnevale si invitavano a pranzo
(lu iovi di li cummari), che precede il berlingaccio.
Ma se per caso moriva il figlioccio, cessavano i regali e gl'inviti
: mortu lu figghiozzu finisci lo cumpari.
Il comparatico era considerato come un vincolo sacro, sul quale
si giurava solennemente ; e perciò 1' adulterio fra il
compare e la comare era ritenuto un sacrilegio. Né, rimasti
entrambri vedovi, potevano contrarre matrimonio, perché
questo era di cattivo augurio.
Qui la fantasia del popolino, per provare la santità
del comparatico, inventò tanti aneddoti. Tuttavia gli
adulteri nel comparatico non erano rari, e S. Giovanni, per
tante offese fatte al suo nome, voleva vendicarsene ; ma ad
evitare questo il Signore lo faceva dormire ogni anno per tre
giorni (23-25 giugno), passati i quali, il detto Santo non poteva
più esercitare alcuna vendetta. Sulla santità
del comparatico e sui castighi divini contro I' adulterio fra
compari e comari corrono in tutta la Sicilia, anche da antico
tempo, numerosi racconti in poesia e prosa2.
(1) Presso
gli Ebrei vi erano anche donne preposte ali'assistenza delle
partorienti, qualche cosa di simile alle nostre levatrici.
(2) I compari
di Comiso nella raccolta amplissima di Vigo, cap. 55 L.
V. pag. 647; La Comare nella Biblioteca delle tradizioni
popolari, voi. Il, pag. 114 di Pitrè; Lu Marinu ru
di Capu Fetu nelle Leggende popolari siciliane in poesia,
pag. 74 di Salvatore Salomone-Marino, e una canzone sullo stesso
argomento nei Canti popolari siciliani n. 535, pag.
219 del detto Salomone-Marino, e infine La moglie infedele
di Monferrato (Ferrare, n. 5, pag. 6).
3.
Usanze familiari e sociali. —
Finite le cerimonie del battesimo i bambini restavano affidate
alle cure materne. Si lasciavano in fasce fino agli otto mesi,
e compiuto 1' anno erano divezzati, poiché si credeva
che l'allattamento prolungato facesse ingrossare il cervello
e quindi divenuti adulti fossero poco intelligenti. Ma presso
gli ebrei sopra ricordati la madre nutriva al seno il fanciullo
per molto tempo, e non pare esagerato far parola di uno allattamento
medio di ventiquattro mesi e in alcuni casi 1'allattamento si
trascinava di più. Anche presso gli Egiziani 1'allattamento
si potraeva a lungo, e alcuni hanno cercato in questo fatto
il modesto sviluppo demografico del detto popolo, come avviene
anche oggi presso i Negri africani, nei quali la scarsa natalità
è in gran parte dovuta al fatto che 1'allattamento al
seno si trascina per oltre due anni.
Fatti più grandicelli e acquistato 1' uso della parola,
i figli davano ai genitori il Vossia,
che estendevano ai fratelli e alle sorelle di età maggiore.
Nell'entrare ed uscire di casa, essi salutavano i genitori e
baciavano loro le mani. Nei giorni onomastici dei figliuoli,
i genitori tiravano loro le orecchie, perché si rammentassero
d' imitare i santi, di cui portavano il nome e tale uso era
anche fra gli adulti e fra i coniugi. In questo modo i figli
crescevano col rispetto filiale, i vincoli e gli affetti della
famiglia erano più intimi.
Le relazioni sociali e le usanze domestiche risentivano l'influenza
di questa educazione. Infatti il don voce sincopata di donno
(dominus), che in origine appartenne ai vescovi, agli abati
e ai Re, poi si accomunò a tutti i monaci, era qui riservato
ai preti, ai dottori, ai laureati e alle persone nobili e civili,
il mastra agli esercenti un' arte, il su (signore) ai borgesi
e zu (ziu) ai contadini poveri. Anche nel saluto
erano conservate le distinzioni fra i vari ceti. Il saluto che
si dava ai preti nelle vie era : assabinirica, seguito
spesso dal bacio alle mani, alle persone civili si dava il voscenza
(voscenza binirica), visuscavu (vi sono schiavo), bonservu,
servusò. Quando un contadino camminava con una
persona civile, stava per rispetto un passo 'nnarreri.
Il lavoro era l'occupazione principale delle antiche famiglie.
I contadini si recavano nei campi due ore prima di far giorno,
svegliati dal suono della campana della chiesa e gli operai
all' alba al suono della stessa campana, (campana di iornu).
Le donne del popolo lavoravano tutto il giorno a tessere, filare,
fare quasetti, puntina, ecc. La sera all'avemaria, raramente
a due ore di notte, gli uomini erano in casa e andavano a letto
per alzarsi presto il mattino e recarsi a lavoro. Voi gabbari
lu vicinu ? curcati prestu e susiti matinu.
Le pratiche religiose erano osservate scrupolosamente. Ogni
sera in tutte le famiglie si recitava in comune lu santu
rusariu e poi prima di addormentarsi e la mattina appena
svegliati ognuno diceva li cosi di Diu e portava sempre
addosso 1'abiteddu cu li cosi santi per essere liberato da ogni
pericolo. Durante il lavoro dei campi si cantavano al'antu canzoni
sacre. Per nessuna ragione si mancava alla messa nelle domeniche
e nei giorni di precetto, anzi molti 1'ascoltavano ogni giorno.
La confessione e la comunione erano pratiche frequenti, e non
vi era esempio che alcuno non si facesse a pasqua il santo precetto.
Il popolo interveniva alle processioni, alle prediche e alle
altre funzioni religiose, specialmente nella quaresima e nella
settimana santa.
Perciò la bestemmia era rara e i bestemmiatori segnati
a dito 1, molti
odi cessavano e molte cose rubate si restituivano al tempo del
precetto pasquale.
Nessuna discordia regnava nel popolo, i partiti amministrativi
non erano ancora nati, e l'interesse generale era 1'economia
del Comune. Gli amministratori avevano la responsabilità
civile dei loro atti e alcune volte anche quella penale. Perciò
i sindaci, i decurioni, detti poi consiglieri comunali, cercavano
tutti i mezzi di esserne esonerati. Nel 1827 un certo don Francesco
Caeti fu con real decreto del 16 giugno eletto decurione del
comune di Ciminna, e non volendo accettare tale elezione, fu
dall' Intendente della Valle, il Duca di San Martino, invitato
a mettersi in possesso nel termine di tre giorni, se non voleva
sottostare ad una multa come prescriveva la legge. E fu costretto
ad accettare. Anche in tempi più antichi, coloro che
non volevano accettare la carica di amministratori di questo
ospedale erano obbligati a pagare una multa di onze dieci (L.
127,50), che venivano esatte dai Giurati del Comune e andavano
a favore del pio Istituto. O tempera, o mores ! 2.
(1) Fino
alla seconda metà del secolo XIX sul prospetto delia
Madrice era murato un collare di ferro, al quale erano legati
i pubblici bestemmiatori.
(2) V. Graziano,
Ciminna, memorie e documenti, Palermo 1911, pag. 95.
4.
Usanze funebri. — L' uso
di portare la comunione ai moribondi è una pratica di
culto della religione cattolica, che nei tempi antichi era estesa
a tutti gli infermi. Nello statuto di questo ospedale, approvato
dal Viceré Marco Antonio Colonna il 27 aprile VIII indizione
del 1579, vi era l'obbligo di far confessare gli infermi, appena
vi erano ammessi.
La morte dell' infermo era subito annunciata dal suono a morto
delle campane, il quale consisteva in una serie di tocchi a
breve intervalli e si chiamava, come anche oggi, agonia.
Il suono per la morte dei bambini era a distesa e si chiamava
gloria. Quando la morte avveniva di notte, 1' agonia
si suonava subito. Le campane non si limitavano ad annunziare
la morte, ma continuavano a sonare ad intervalli e tale suono
si chiamava mortorio. Esso consisteva in tre tocchi
separati da intervalli uguali e divisi da un altro più
lungo. Il mortorio per i preti e per le monache era diverso
e prendeva il nome di esequie (ossequii).
Nei tempi passati i cadaveri si trasportavano per le strade
principali col viso e le mani scoperte. Però a togliere
tale usanza fu anche stabilito che nel trasportare i cadaveri
dei preti non si potessero cantare le litanie dei Santi e neppure
fare il giro di tutto il paese, ma si doveva recitare il Misererò
e percorrere la via più breve. Le dette disposizioni
rimasero senza effetto per le usanze dei tempi, che volevano
il lusso eccessivo nei funerali, talvolta frenato da leggi particolari.
Fino all'impianto del cimitero,
avvenuto nel 1877, i cadaveri si seppellivano
nelle chiese, dentro fosse comuni o private. Il trasporto dei
cadaveri al luogo del seppellimento avveniva con maggior sentimento
religioso dei tempi attuali, in cui predominano il fanatismo
e il lusso. Il mesto corteo era formato dai confrati in divisa
della congregazione, della quale aveva fatto parte in vita il
defunto, dai preti che recitavano ad alta voce il Miserere e
il De profundis, dal feretro (cataletto), contenente il cadavere
e coperto da una coltre di velluto nero con frange e ricami
d' oro e fiancheggiato da due facchini dei quali ognuno portava
sulle spalle un cavaliletto (cavallittu), sul quale
erano infisse sei torce, e infine dal popolo.
Nel giorno sacro alla commemorazione dei defunti vi è
l'uso di fare la cosidetta cuccia, che si da in elemosina ai
poveri che vanno in giro per le strade. Al detto giorno segue
un ottavario che si celebra ogni anno nella chiesa del Purgatorio,
durante il quale vi era un tempo l'usanza di esporre sulle pareti
molti teschi dipinti. Ognuno di essi portava scritto il nome
di un confrate defunto della Pia Unione del Miseremini e
se questi in vita si era distinto per meriti o virtù
cittadine vi era scritta anche qualche poesia in lode dell'estinto.
5.
Usanze varie- Oltre ai detti usi
ve ne erano altri che ora tendono a scomparire. Fra quelli più
notevoli e caratteristici erano il natale
e carnevale.
Una usanza antichissima e particolare a questo paese è
la vecchia di Natale. « Quel
che fanno per la Sicilia in generale i morti, fa per alcuni
paesi particolari una vecchia quanto brutta altrettanto buona
e cara ai bambini, vuoi dire la vecchia di Alimena, la vecchia
strina di Cefalù, di Vicari, di Roccapalumba, la vecchia
natale di Ciminna, la vecchia di Capud' annu di Resuttana, la
carravecchia di Corleone, la befana di altri luoghi» 1.
Ogni anno durante la novena di natale molti monelli percorrono
la sera le vie del paese, suonando trombe di mare, corni da
bue, campane di capre e vasi di latta vuoti, facendo un chiasso
indiavolato. Ogni tanto gridano a voce forte in senso di scherno
: vecchia natali mancia pira cotti. Ciò si dice
per rammentare ad essa la sua bruttezza e la mancanza dei denti.
Durante i detti giorni si racconta ai fanciulli, che hanno generalmente
1'età dai tre ai sei anni, che si avvicina la vecchia
di natale, una fata benefica per quelli che stanno quieti e
cattiva per i discoli. Ai primi si dice che essa è nascosta
per preparare dolci e regali, ai secondi che essa viene a prenderli
per condurli via. I padri raccontano ai bimbi che essi hanno
parlato con la vecchia di natale, inventano dialoghi, fughe,
colluttazioni di cui mostrano anche le tracce. Nelle sere quando
passano per le vie le campane, i bimbi si stringono al petto
delle mamme e dei babbi e ciò per timore della vecchia
di natale, che essi credono sia in mezzo a quelli che suonano
le campane e in quei giorni le tenere menti sono piene della
vecchia di natale, e di essa parlano e sognano conlinuamente.
Venuta la sera che precede la festa, i bimbi sono mandati a
letto presto, perché deve passare la vecchia di natale
per lasciare i dolci, e poiché essa non vuoi farsi vedere
passa avanti se li trova svegli.
In quella notte essa cammina per le strade suonando una tromba
di maie e tirandosi dietro una retina di muli carichi di dolci
e giocattoli per distribuirli nelle case ove sono bambini. Entra
a porte chiuse, perché le basta una piccola fessura per
introdursi e prima di far giorno ritorna nella sua abitazione,
che naturalmente si trova in luoghi solitari.
La mattina seguente i bambini, che per tutta la notte hanno
sognato la vecchia di natale, trovano negli angoli più
reconditi della casa dolci, giocattoli e doni di ogni specie,
che i genitori, secondo la loro condizione economica, hanno
avuto cura di preparare ai loro figiioletti. Fra questi dolci
non mancano mai un cavaduzzo fatto a base di miele
(pasta di meli) ai bambini e una pupa (bambola) pure
di miele alle bambine. La mattina di natale si vedono girare
per le vie del paese gruppi di bambini per mostrare ai parenti
e agli amici li cosi di la vecchia natali.
L' età dei bambini, ai quali la vecchia di natale lascia
i suoi dolci vana, come ho detto, dai tre ai sei anni, ma nei
tempi passati i parenti facevano trovare i dolci fino a quindici
o sedici anni e qualche volta fino ai venti. Per due quindi
che un giovane è uomo maturo si diceva : nun ci cridicchiù
alla vecchia di natali.
Nella detta festa non vi è famiglia, ricca o povera,
che non manipoli dei dolci in casa, perché questa è
1' usanza.
Le famiglie povere fanno il dolce tradizionale (purciddatu)
con farina comune, olio, fichi secchi, mandorle, e noci pestate
e uva passa. Ogni famiglia regala i dolci fatti da essa ai vicini,
specialmente se sono poveri, e ciò si dice : fari la
vecchia.
Le funzioni della notte di natale si fanno alla Madrice dopo
le ore quattro di notte e là si va con le tasche piene
di purciddati (buccellati) che si mangiano in chiesa
e non è rato qualche sciaschiteddu di vino. Nella chiesa
di S. Domenico si costruiva anticamente ogni anno il presepio
sopra un tavolato, ove quattro o cinque capre artificiali mediante
congegni manovrati da persone nascoste sotto il detto tavolalo
si truzzavanu li testi. Esso era lasciato fino al giorno dell'
Epifania nel quale si faceva la funzione dei re Magi. Tre personaggi
vestiti secondo il costume dell'epoca venivano da fuori il paese
e si dirigeva.no alla chiesa di S. Domenico, ove una stella
si muoveva verso il presepio a guida dei Re, i quali, giunti
innanzi al Bambino Gesù, lo adoravano.
Gli stessi usi esistono da antico tempo nei comuni di Baucina
e Ventimiglia di Sicilia, ove a poca distanza e precisamente
alle falde della vicina montagna esiste una grotta chiamata
della vecchia di natale. Si crede che questa abiti sempre nella
detta grotta, ma non si fa vedere mai da nessuno. Però
nella notte di natale essa esce dalla sua grotta con muli carichi
di dolci, che distribuisce poi ai bambini entrando per le fessure
delle porte.
Nell' ultima sera della novena i monelli che suonano le trombe
di mare, i corni, i vasi di latta dopo aver girato al solito
le vie del paese, accompagnati da molto popolo con manipoli
di bure accese si recano a tarda notte alla grotta per trovare
la vecchia di natale e farsi dare i dolci.
Come e quando sia nata nel detto Comune l'usanza della vecchia
di natale io non so. Ritengo che essa sia stata portata dai
primi coloni Ciminnesi, che nella prima metà del secolo
XVII andarono a popolare il feudo di Calamigna, dal quale ebbe
origine l'attuale paese. Ciò proverebbe anche 1'antichità
di questa usanza in Ciminna.
Il carnevale cominciava la prima
domenica dopo 1' Epifania con una solenne mascherata, che rappresentava
la trasuta di lu nanna 2
e continuava con frequentissime feste da ballo. Nelle famiglie
popolari si ballava a suono di zufolo (frisculettu)
e di cembalo (tammureddu) ; in quelle civili si ballava a suono
di banda musicale o di pianoforte con intervento di maschere
vestite nei modi più vaghi e bizzarri e divise in gruppi
accompagnati dal famoso lantirneri, che presentava le maschere
e assumeva la responsabilità dei loro atti. Era obbligato
a farle conoscere al padrone di casa, se questo lo esigeva.
Negli ultimi tre giorni si faceva la cosidetta merca. Ad una
estremità del paese, chiamata Folletto, e alla distanza
di circa centocinquanta metri dal paese si appendeva ad un'
asta verticale un coniglio, o una gallina o un capretto. Oltre
a molto popolo vi accorrevano i migliori tiratori del paese,
fra i quali vi era una specie di gara. Per ogni colpo dovevano
pagare un soldo se si trattava di coniglio o gallina e due soldi
se di capretto.
Ma l'usanza più caratteristica era la
condanna a morte di lu nanna. Una comitiva di tre
popolani rappresentava la corte di giustizia che doveva condannarlo.
Uno di essi in giammerga e tuba alta sul capo, con baffi fatti
di carbone, colletto di carta e un libro sotto una ascella rappresentava
il giudice, un altro con finti baffi e tratti di carbone in
viso rappresentava 1'accusatore, e il terzo vestito da donna
in veste e mantellina a lutto rappresentava la mugghieri
di lu nannu. Procedevano a cavallo ad asini fra un codazzo
di popolo, di monelli e di curiosi e si fermavano nei luoghi
principali del paese, ove si faceva la causa di lu nannu.
Fra il silenzio generale della folla parlava l'accusatore, esponendo
tutti i delitti commessi dal reo e chiedendo infine la condanna
a morte. Allora il giudice, con un procedimento molto sommario,
apriva il libro e in atteggiamento solenne condannava a morte
lu nannu. Urli, schiamazzi, fischi e altri suoni inarticolati
accoglievano la lettura della sentenza, mentre la moglie del
condannato gridava : ah maritu meu !
L' ultima scena avveniva nella pubblica piazza, dove era preparato
un gran pupazzu di cenci, che dopo la lettura della sentenza
era dato subito alle fiamme, mentre la moglie di carnevale era
allontanata a forza dal luogo del supplizio. Il carnevale costituiva
un tempo una specie di follia collettiva, da giustificare il
proverbio medievale riguardante le feste carnevalesche, semel
in anno insanire licei.
In alcune feste di secondo e terzo ordine (festi nichi) si taceva
la corsa con gli asini ('a cursa
'i scecchi), che richiamava molta gente nella via principale
del paese ('a strata di la cursa). I premi consistevano in tre
palii, formati ognuno da due metri di mussolina legata a una
asta orizzontale portata a mano con una canna attaccata verticalmente
alla detta asta. I palii erano condotti per le vie principali
del paese, accompagnati dalla banda musicale, e finito il giro
cominciavano le corse. Queste erano tre, quanti i palii, e gli
asini concorrenti non più di due o tre cavalcati a dorso
da individui che spronavano i poveri animali col così
detto pinturu.
Chi arrivava primo alla testa di la cursa aveva diritto
al palio, che il cavaliere avvolgeva al collo dell'asino, come
un trofeo. Alcune volte, invece, il palio era dato a chi arrivava
1'ultimo, ma in quesi casi i proprietari degli asini cavalcavano
quello dell' altro concorrente, perciò ogni cavalcatore
spronava quanto più poteva 1' asino che aveva sotto per
fare arrivare ultimo il proprio asino 3.
Un' altra specie di corse, meno
clamorose, ma pure divertenti erano quelli coi
sacchi. I premi consistevano pure in tre palii, che non
erano condotti per le strade, Alcuni giovani, messi in sacchi
a fondo chiuso fino alla cintura, correvano saltellando e chi
arrivava primo al punto stabilito aveva diritto al palio. Non
di rado accadeva che qualche concorrente durante la corsa cadeva
a terra fra le rise degli astanti.
(1) Usi
e costumi, crcdenze e pregiudizi del popolo siciliano raccolti
e descriritti da G. Pitrè, voi. 4, pag. 63. Palermo 1889.
(2) Chi
rappresentava lu nannu era ogni anno lo stesso individuo che
perciò, era inteso comunemente lu nannu.
(3) Perciò
pigghiari 'u paliu significava vincere e si dice ancora
a chi cammina con fretta havi a pigghiari 'a paliu.
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