1. Cultura della vite - Nei tempi passati
la vite eia assai sparsa nel terntoiio di Ciminna, perché
vi era il motto : cui havi bona vigna havi pani, vinu e
ligna.
La sua cultura costava molto, perché la terra si doveva
zappare otto volte l'anno (squasari, refùnniri, ricunsari,
ritirzari, riquartari, zappari, passari e ripassari). Lo
scalzamento era fatto da zappatori di mestieri (squasatura)
che avevano il salario di due tari al giorno (L. 0,85); ma per
lo più i lavori della vite si davano a cottimo (a li
consi). Da alcuni atti pubblici del 1704 e 1705 si rileva che
la cultura di un migliaio di viti costava onze due (L. 25,50),
somma allora considerevole, perciò in un proverbio la
vigna era chiamata tigna (vigni * tigni). La potatura si faceva
in gennaio, perché la puta di innaru inchi lu Vuttaru
e si crede ancora che il tempo più opportuno alla potatura
sia quello che passa dal novilunio al plenilunio del detto mese.
Però non si dava grande importanza alla perizia del potatore,
infatti si diceva : l'asinu pula e Diu fa racina.
Molta importanza si dava invece alla cultura della vigna : cui
bonu zappa bonu vinnigna e alla ubicazione di essa : chianta
la vigna unni sedi la vutti. Per avere un buon prodotto
della vigna non si dovevano coltivare in mezzo ad essa altre
piante, né seminare cereali : cui simina tra la vigna
nun meti né vinnigna.
Non si doveva cogliere 1' uva quando era immatura, né
quando vi era rugiada : cogghi appena matura la racina cu
bonu tempu e asciutta d' acquazzina.
Tuttavia la cultura della vite era meno importante di quella
del grano : casi quanta stai, vigni quantu vivi, terri quantu
scopri.
Il tempo della vendemmia era stabilito con bando da cinque deputati
di salute, eletti dal!' autorità comunale, perché
1' uva immatura produce vini acetosi e guasti.
In alcuni comuni è ancora in uso fissare con bando la
data della vendemmia per tutto il territorio, come se la maturazione
dell' uva coincidesse nello stesso tempo in tutte le località.
La diversità di contrada, di ubicazione, di esposizione,
di terreno del vigneto, il sistema di cultura, la varietà
della vite, la costituzione dei ceppi, la sanità o meno
dell'uva, le infezioni crittogamiche e quelle d'insetti, l'andamento
climatico dell' annata, ecc., sono altrettanti fattori che influiscono
sulla maturazione dell' uva e quindi sull'epoca della vendemmia
Altre volte invece circostanze speciali costringono ad anticipare
la vendemmia per evitare la perdita del prodotto, una grandinata
o una forte pioggia sono sufficienti a guastare l'uva, una diffusione
di marciume ne minaccia la qualità, una grave siccità,
un insistente vento scioccale affrettano la maturazione, causandone
persino l'appassimento completo.
Perciò il bando pubblico, se poteva essere giustificato
nel passato, in cui la scienza enologica non era ancor nata,
non può esserlo più oggi.
L'abbondanza dei mosti era tanta che i proprietari li lasciavano
in parte fermentare nei palmenti o li dividevano a metà
con coloro che dalle contrade più lontane li trasportavano
nel paese. Perciò il vino si vendeva a bassi prezzi (tre
grani pari a L. 0.06 il quartuccio, antica misura siciliana,
equivalente a poco meno di un litro), come si rileva dai seguenti
versi, che allora erano popolari :
Ora lu tempu vinni
Di cogghiri 'a racina,
Lu viddanu si incammina
A la vigna si "imi va
E la metti 'nta li vutti.
Amici miei, contenti tutti
Ca lu vinu a tri grana va.
Molta ricercata ed esportata in altri paesi era un'
uva bianca con gli acini bislunghi, chiamata prumesta, che si
conservava a lungo ed era conosciuta col nome di ciminnita.
Ma dopo le malattie prodotte dall' oidium albicans1,
dalla filossera e dalla peronospera il vino diventò in
Ciminna un prodotto meno importante.
(1) Questa
malattia apparve in Sicilia nel 1851, e poiché alloca
non si conosceva il rimedio fu un disastro pei la produzione
vinicola, onde nacque il motto :
A lu cinquanta
Sicilia canta,
'O cinquantunu
Pigghiala in culu.
Da una lettera del sindaco di Ciminna con la data dell'agosto
1652 si rileva che l'odium albicans era comparso in questo tenitorio
nel luglio del detto anno, prima nelle contrade basse ed umide,
poi in quelle mezzaline e infine in quelle di montagna, attaccando
primieramente i moscadelli e le insolie.
2. Industrie dell'argilla
- L'industria più antica e nei tempi passati
la più importante era quella dell' argilla o creta
cotta. Di essa esistono tracce nella contrada Pizzo, dove
sono stati scoperti alcuni oggetti d'industria locale e
qualche vestigio di forni. E' certo che esisteva nel secolo
XVII, poiché nel 1658, dovendosi ammattonare il pavimento
della Madrice, i mattoni furono eseguiti in Ciminna. Un
tempo la creta si estraeva dalla contrada Folletto, poi
dalla contrada Stincone ed ora da un' altra località
vicina alla chiesa di Nostradonna.
La detta industria fiorì nei tempi passati e i suoi
prodotti si esportavano nei paesi vicini. L'industria della
creta si esercitava nella via Stazzone, allora via di campagna.
In essa lavoravano gli artefici della argilla, ivi era
lu stazzuni con le casette a terreno, dove essi collocavano
i prodotti della loro industria, con li mauti dove si travagliava
la creta trasportata da una località chiamata Stincone,
lu bancu, li furni, lu chianu dove si asciugava
la robba, e i forni.
Dal luogo ove essi lavoravano erano chiamati stazzunara
e anche quartarara, perché facevano quartare.
Vi erano i quartarara propriamente detti e i mastri
di tornu, chiamati anticamente maestri torculai. I
quartarara lavoravano mattoni di diverse dimensioni
: i quadretti più piccoli usati per ammattonare camere
e i parmarizzi più grandi usati per ammattonare pianterreni,
balconi e scale, per le quali lavoravano anche mattoni rettangolari
col lato maggiore lungo due palmi e quello minore un palmo.
Costruivano anche pantofoli detti pure pantufulicchi
usati per forni e cucine, tegoli distinti in curritura
(scorritori) e coperchi (copritegoli), irmici
(grondaie) per raccogliere le acque piovane scorrenti dai
tegoli. Erano tegoli più stretti e più lunghi,
da 60 a 80 cm. circa. I più lunghi formavano gli
ultimi canali scorritori, i più corti poggiavano
sopra muretti sporgenti dal muro esterno delle case. La
lunghezza di questi, compresi gl'irmici, era di 50 cm. circa
e formava la cosidetta pignulata. Gl'irmici ebbero
lo sgambetto dai tubi di zinco e ora se ne vedono pochissimi
in tutto il paese. Costruivano pure calusa (tubi)
per lo scolo di acque piovane.
I mastri di tornu (tornio) lavoravano con un congegno primitivo,
che si faceva girare per mezzo di una ruota che veniva spinta
da un movimento del piede e facevano cosi di ruttami,
cioè stoviglie e altri arnesi di uso domestico. Fatto
1' oggetto, il maestro lo metteva ad asciugare un poco all'ombra,
e poi vi aggiungeva i manichi, onde il motto: la quartararu
metti li manicu unni Voli iddu, il quale in senso figurato
significa, che ognuno fa quello che vuole.
I lavori dei nostri antichi mastri di tornii erano grossolani
e assai inferiori a quelli eseguiti in altri paesi, che
acquistarono rinomanza in tutta la Sicilia, come Santo
Stefano di Camastra, Caltagirone, Sciacca,
Calatafimi, Collesano, ecc. I nostri artefici
non usarono mai 1' invetriatura, ignorando forse tale arte.
Per la fiera di S. Vito i quartarara esponevano
i prodotti della loro industria per venderli anche ai forestieri.
Ora in Ciminna non esistono più mastri di torna,
dei quali l'ultimo fu un certo Vito La Paglia morto un trentennio
addietro circa e come in altri paesi la loro arte è
scomparsa per 1' introduzione degli utensili di rame, di
ferro smaltato o di alluminio. Qualche raro esemplare si
trova ancora in alcune famiglie povere, come testimonio
di una industria passata.
Accenno per curiosità storica ai prodotti di questa
antica industria di Ciminna.
Quartara (brocca) con due manichi, equivalente
in misura alla quarta parte di un barile e quindi da quarto
si ebbero i nomi di quartata e quartararu.
Quartaredda (brocchetta) con due manichi.
Bummaru (bombola) con due manichi.
Bummareddu (bomboletta) con due manichi.
Giarra (orcio) per conservarvi acqua od
olio. Pochi anni addietro ne vidi una della capacità
di dieci e più brocche nella casa di un contadino.
Essa portava la data del '500 e fu eseguita in Ciminna da
certo Rubino.
Giarritteddi della capacità di mezzo
ad un baule.
Ciascu (fiasco) con due manichi, della
capacità da due a sei quartucci, di forma rotonda
o schiacciata.
Ciaschiteddu (fiaschettimo) con o senza
manichi, della capacità eia mezzo ad un quartuccio.
Lemmu (catino).
Limmiteddu (catinelle).
Vivitureddu (beverino) per galline, colombi
ecc. Era di forma rotonda, che finiva nella parte superiore
con un foro per mettervi l'acqua e nella parte centrale
aveva tre fori quadrati per bere gli animali
Ogghialoru (orciuolo) con o senza manichi
per porvi l'olio.
Grasti (vasi) per piante da fiori.
Grastuddi (vasettini) per pianti da fiori.
Mutu (imbuto).
Cufulareddu di forma rotonda e di creta
cruda per uso della povera gente.
Mariteddi (scaldini), di forma
rotonda col diametro di cm. 20 circa e alti cm. 30 senza
manichi.
Valata (balata) per chiudere la bocca del
forno.
Cuperchiu (coperchio) per pentole, con
un manico nel centro delia faccia superiore.
Lumeri e lumireddi senza
piedi e senza manichi che si usavano per l'illuminazione
privata delle case e per quella pubblica delle strade nelle
feste civili e religiose (piramiti).
Furnaceddi (fornacelli) per cuocere la
minestra.
Caruseddi (salvadenai) con foro per nporvi
le monete.
Dopo la costruzione della via rotabile, avvenuta nel 1874,
li stazzunara furono obbligati a lasciare quel luogo che
diede il nome alla via Stazzone e andarono ad esercitare
la loro industria vicino alla chiesa di Nostradonna, dove
esistono li pinnati, li mauti, li
banchi e li furni e dove si costruiscono gli
oggetti più comuni e necessari al murare.
3. Altre piccole industrie-
Vi erano altre piccole industrie che ora sono scomparse
del tutto. Fra queste vi era la concia delle pelli che
serviva ai bisogni del paese e durò fino alla
prima metà del secolo scorso. Si conoscono due
località nelle quali si faceva la detta concia
: 1" una a S. Croce del Canale che conserva ancora
il nome di Conceria e 1' altra sul luogo stesso ove
sorgeva il mulino chiamato del Canale. S'ignora quando
ebbero origine le dette concerie, il cui impianto fu
dovuto al largo consumo delle pelli, specialmente di
bue, fatto dai contadini che usavano i calzari
(scarpi di piiti).
Un' altra piccola industria durò sino alla metà
del secolo scorso, esercitata da alcuni individui detti
legnaiuoli, perché si recavano spesso nell'ex
feudo Manchi 1
e in altre contrade incolte a tagliare legna per venderle.
Ogni fascio (cuddata) si vendeva due tari (L.
0,85), da cui i legnaiuoli toglievano una piccola elemosina
pel SS. Crocifisso, che si venera nella chiesa di S.
Giovanni Battista, raccogliendola in una cassetta di
ferro chiamata trabbuccu e collocata appositamente dentro
la detta chiesa. Col denaro da essi raccolto furono
comprati due lam-padari di argento, l'uno nel 1656 e
1' altro nel 1663, che esistono tuttora.
Più lucrosa era l'industria dei mulattieri,
che portavano mercanzie e passeggieri da Ciminna a Palermo,
e viceversa. Questo tipo curioso scomparso quasi da
per tutto, era allora il solo mezzo di comunicazione
con la capitale dell' isola. Quelli che non avevano
mezzi usavano il bastone di S. Francesco.
I mulattieri camminando a passo facevano in media quattro
chilometri ali' ora, secondo la natura delle strade
e le stagioni. Il viaggio in inverno durava ordinariamente
otto ore, ma in està non durava più di
sei o sette. Il costo del viaggio era di tari otto (L.
3,40) sia all'andata che al ritorno, sia che si portassero
merci, sia passeggieri.
Facevano tre viaggi la settimana, e partivano due ore
prima di fare giorno, ma si alzavano più presto,
perché lu viaggianti prima duna pruvenna
e poi caccia. Andavano incontro a molti pericoli,
e perciò non erano mai dimenticati nelle preghiere
pubbliche, nelle quali si recitava sempre un patrinostru
pi li poviri viaggianti. Non portavano mai armi,
ma avevano sempre addosso l'abitino cu li cosi santi
2,
erano amici dei ladri di campagna, coi quali alcune
volte dividevano le refurtive, ma altre volte erano
vittime di essi. Quando portavano denari, aguzzavano
la mente per trovar le maniere più ingegnose
di nascondevi bene nel momento del sacramentale faccia
a terra. Perciò quando viaggiava una persona
ricca, specialmente se portava denari, si faceva accompagnare
da servi fidati e armati sino ai denti.
Vittima di tutti era il povero passeggiero. Se voleva
cavalcare a basto doveva pagare otto tari (L. 3,40)
all'andata e altrettanti al ritorno da Palermo, doveva
soddisfare anche lo scotto del mulattiere e aveva l'obbligo
di scendere da cavallo in tutte le discese, ciò
che nell' andata a Palermo avveniva sette volte e nel
ritorno quattro. Era peggio quando contro la sua volontà
balzava da cavallo, perché l'animale ombrava
o inciampava sul suolo, e quando in aperta campagna
era colto da un temporale.
Il pericolo maggiore era l'essere rubato a lu passa.
Dopo la solita intimazione faccia a terra,
l'infelice passeggiero era sempre bastonato, spesso
rubato e qualche volta anche ucciso. Quindi prima di
mettersi in viaggio faceva il suo testamento, e da buon
cristiano si confessava e si comunicava, come fino ai
primordi del secolo scorso si costumava in tutta la
Sicilia.
Ciò durò in Ciminna fino al 1874, quando
fu costruita la strada rotabile. Questa
fu inaugurata solennemente il
primo maggio 1870,. nel quale giorno coincideva
la festa del SS. Crocifisso. L'avv.
Giuseppe La Porta, fratello del senatore Luigi
La Porta, compose una poesia di occasione, nella quale,
inneggiando con entusiasmo alla nuova strada, scrisse,
fra gli altri, i seguenti versi :
Più non urto in ogni sasso
Quando l'acqua mi tempesta,
Non sprofondo ad ogni passo
Sino a rompermi la testa.
Non sonagli lettighieri,
Fra le grida incoraggianti
Di pedoni mulattieri,
Dal cammino reso affranti.
Tutto tutto or muta aspetto,
II somiere che trasporta
Con correggia nel suo petto
Altra insegna sotto porta.
Or le mura di Palermo
Son vicine al mio paese,
Anche l'uomo reso infermo
Col morir non è alle prese.
Anco 1'acqua di quel mare
Ver Ciminna si dilata,
Sembra qui sentir fischiare
Il vapor della ferrata.
Chi sa che cosa avrebbe detto oggi, in cui siamo arrivati
alle corse automobilistiche a 150 km. all'ora e alla
posta aerea?. 3
Ma l'industria più importante dei tempi passati
era, come in molti altri paesi, quella del lino, di
cui tratterò nel capitolo seguente.
(1) In
esso non mancava la bolla dei Luoghi Santi, che preservava
da assalti di ladri e da infortuni di ogni genere nei
viaggi per la Sicilia.
(2) Gli
abitanti di Ciminna da tempi remoti avevano il diritto
a far legna nell' ex feudo Manchi, e tale diritto durò
sino alla prima metà del secolo scorso. Vedi
deliberazione decurionale del 14 agosto 1842. Tale diritto
fu perduto per mancanza di documenti distrutti forse
nell'incendio dell'archivio comunale avvenuto nel 1820.
(3) Poesie
di Giuseppe La Porta, Palermo, 1868, Edit, Benedetto
Lima.
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